mercoledì 8 dicembre 2010

Che fare?

La domanda non è solo per citare Lenin, ma può essere interpretata sia in senso metafisico che fisico.
Che farà questo Paese? Che fare di noi in questo Paese? Che fare per passare il tempo?
L’interrogativo più facile da risolvere è l’ultimo: per quanto mi riguarda, scrivo sul blog.
Riguardo al primo, è più difficile dare una risposta: in questo momento ci sono due presidenti, uno eletto secondo l’Onu, l’altro no. Uno ha prestato giuramento per posta, l’altro da casa sua. Entrambi vanno avanti nominando primi ministri e governi, cercando di prendere il controllo dell’amministrazione (istituzioni, centri di potere, stanze dei bottoni). Gbagbo ha dalla sua parte le forze armate e la tv. Ouattara l’intera comunità internazionale, la Banca Centrale e Le Forces Nouvelles (gli ex ribelli del Nord).
Tutti i tentativi di mediazione per convincere Gbagbo ad andarsene sono falliti. E non se ne vedono altri alla luce del sole.
Abidjan e Bassam sembrano tornate alla “normalità”: dopo i primi giorni di scontri (una trentina di morti), manifestazioni e barricate, è tornato il solito traffico per le strade, i negozi hanno riaperto e la gente se ne va in giro con un’aria spensierata (più di una volta mi è capitato di notare che questo non sembra mai un Paese sull’orlo del baratro).
Che cosa succederà adesso? Dopo un anno che sto qua ho imparato che la Costa d’Avorio è incomprensibile, imprevedibile, ci si può aspettare veramente di tutto, anche che si rimanga in questa situazione kafkiana per sempre: la gente decide che può continuare a fare la propria vita di tutti i giorni anche con due presidenti, tanto in ogni caso a loro non cambia mai un cazzo che ci sia Gbagbo, Ouattara, tutt'e due o nessuno; fanno sempre la fame lo stesso!
Ma la possibilità che si decida di passare alle armi e che scoppi una vera guerra civile, c’è.
I parenti in Italia sono sull’orlo di una crisi di nervi (o l’hanno già oltrepassato): le notizie che gli arrivano sono “decontestualizzate”, mentre noi stando qui non solo abbiamo informazioni di prima mano, ma riusciamo anche a percepire più direttamente “gli animi” di queste persone.
Nei soliti modi irritanti “di chi sa tutto mentre tu non capisci una minchia”, la suocera mi intima di rientrare (non capendo che: a - forse è lei a non avere il polso della situazione e si sta facendo sopraffare dal panico; b – in questo modo mi fa solo scappare la voglia). Tra l’altro, in tutto questo la bimba è tranquilla. Io preferisco non tenerle nascoste le cose, ma spiegargliele. Lei vedendo noi tranquilli, non si preoccupa. L’unico effetto che hanno dunque sortito le continue telefonate allarmate della nonna è stato quello di trasmetterle ansia.
La cosa che più di tutto mi fa ribollire il sangue è che non hanno la minima fiducia nelle nostre capacità di discernimento e nel nostro senso di responsabilità in quanto genitori.
Se siamo venuti qui (o: se per ora siamo ancora qui) non è perché siamo dei pazzi incoscienti, ragazzotti ingenui e romantici con la testa fra le nuvole. Sapevamo esattamente cosa poteva succedere (come sapevamo della malaria, sapevamo di imminenti elezioni che avrebbero potuto creare casini) e abbiamo calcolato che era un rischio che eravamo in grado di assumerci. Lo stesso tipo di calcolo che a Milano si fa alla mattina uscendo di casa e sapendo di poter essere investiti da una macchina o aggrediti da un malintenzionato: esci lo stesso, attraversi sulle strisce, eviti di girare la sera da sola. Qui, mutatis mutande, è la stessa cosa: eviti di farti pungere dalle zanzare o fai subito il test appena hai un po’ di febbre, eviti di andare a Bassam quando ci sono manifestazioni, eviti di andare ad Abidjan.
Fino a ieri ero fermamente convinta che nella nostra bella fattoria ero molto più al sicuro che non per le strade della capitale economica in cerca di un biglietto aereo (qui non esistono carte di credito, si fa tutto di persona e in contanti) o sulla strada per guadagnare l’aeroporto (che tra l’altro in questi giorni sarà nel caos più totale per far ripartire tutti quelli che erano rimasti bloccati qui la scorsa settimana - tra cui Mina, sigh!).
Qui siamo fuori dal centro abitato (quindi lontani da qualsiasi possibile scontro. Per arrivare qui uno dovrebbe proprio venirci a cercare e nessuno ne ha il motivo. E se anche lo avesse noi abbiamo i guardiani, l’allarme a distanza per chiamare le guardie giurate, la casa del vescovo a 100 m. e il campo d’addestramento delle truppe francesi a 500). In secondo luogo perché Bassam è sicuramente più tranquilla che Abidjan. Una cosa curiosa è che i sostenitori dell’uno o dell’altro sono nettamente divisi per quartieri, città e regioni: nella capitale per esempio la situazione è più tesa perché ci sono quartieri che appoggiano Gbagbo e quartieri che appoggiano Ouattara. A Bassam sono per lo più pro Ouattara e quindi hanno fatto delle barricate con turni di guardia a mo’ di servizio d’ordine.
L’unico problema che potremmo incontrare è fare la spesa: prima di scendere in città ovviamente ci informiamo sempre sulla situazione, facciamo una toccata e fuga e torniamo ben equipaggiati “chez nous”.
E se proprio non riuscissimo nemmeno a fare la spesa qui abbiamo frutta, verdura, polli, conigli (e personale che ce li sappia preparare!), ecc.
Se poi dovessero scoppiare casini grossi, non sarebbe una cosa così improvvisa da rendere impossibile un’evacuazione tramite una delle ambasciate europee.
Questo è quello che pensavo fino a ieri... Prima di sapere che le milizie di Gbagbo si sono accampate in fondo alla nostra strada.
Ho anticipato il volo e ora non mi rimane che convincere Leo a fare altrettanto (lui in effetti sente molto più forte le responsabilità verso il suo lavoro che verso di noi, anche perché ha un “senso del pericolo” molto labile – un giorno vi racconterò le nostre disavventure a Caracas).
Questo mi mette di pessimo umore. Le parole di Alpha Blondy mi sembrano le più appropriate per chiudere questo post:
Refrain :
Les salauds, ont mis le feu à mon paradis
Les salauds, ont mis le feu au paradis.
Ces salauds, ont mis le feu à mon paradis.
Les salauds, ont mis le feu au paradis.
Journalistes pyromanes,
Politiciens mythomanes,
Avec les prêtres corrompus,
Et les imams vendus,
Ils sont bêtes et méchants,
Ils ont mis le pays à feu et à sang,
Bêtes et méchants (x2).
Ils s'en foutent de toi et moi (x2)
Ils s'en foutent de nos parents,
Ils s'en foutent de nos enfants.
Refrain

domenica 5 dicembre 2010

Come sopravvivere a un colpo di stato

Non vorrei che leggendo questo post pensaste che siamo un branco di fancazzisti incoscienti. Il fatto è che da una settimana ormai siamo chiusi in casa, salvo qualche fugace missione in città per fare la spesa.
Per il resto ciondoliamo per casa, afflitti da un’inspiegabile letargia, da cui ci risolleviamo solo all’annuncio di notizie. Queste arrivano sempre quando ormai inizi a pensare che tutto rimarrà sospeso nell’incertezza per sempre. E di solito sono comunque destabilizzanti per il nostro equilibrio psico-emotivo.
Quindi vaghiamo tra un sito e l’altro, tra un canale televisivo e l’altro (almeno finché erano disponibili), tra una casa e l’altra (la nostra e quella dei vicini), tra un telefonino e l’altro (Tizio – dell’altra Ong italiana che opera qui a Bassam – un toscanaccio sanguigno e un po’ esagitato per il quale non esistono mezze misure, per cui quando chiama è sempre per annunciare catastrofi imminenti, tipo: “Gbagbo ha preso l’aeroporto” e poi è “solo” che hanno chiuso le frontiere, in un crescendo parossistico che ci fa temere per la sua salute – solo una volta era tranquillo e lucido al che abbiamo concluso che la moglie gli aveva messo dei tranquillanti nella cena; il nostro uomo nel PDCI, più misurato e inguaribilmente ottimista che prospetta sempre soluzioni ragionevoli e rassicuranti che non trovano mai conferma; qualche amico italiano che lavora nelle agenzie internazionali e ci racconta ciò che vede nelle strade di Abidjan; e l’ambasciata italiana. L’abbiamo chiamata dopo che Gbagbo si era fatto eleggere presidente, aveva chiuso le frontiere, oscurato i media e prorogato il coprifuoco. Loro ci hanno assicurato che non si trattava di un colpo di stato e ci hanno detto di stare tranquilli fino a nuovo ordine. Abbiamo finora atteso invano una telefonata in cui ci dicessero che ora potevamo iniziare a preoccuparci. Quindi non li abbiamo più chiamati).
Quando non ne possiamo più di questo “aspettando Godot”, cerchiamo delle alternative: Leo si guarda un film; io inizio ad affettare verdure senza sapere che piatto cucinerò, così per rilassarmi; Lina fa stretching contro il mal di schiena; Caio sprofonda in un sudoku o propone di iniziare a preparare qualcosa da bere (se sono passate le quattro del pomeriggio); Mina, con battaglie alla pistola d’acqua, intrattiene Ercolino (il suo pupazzo di pezza), Dado e Marysol (che si lascia molto coinvolgere dagli avvenimenti politici pur senza farsi spaventare, ma si annoia perché da una settimana la scuola è chiusa, motivo per cui ci stiamo dando anche al bricolage – con un rotolo di carta igienica abbiamo costruito un porcellino in cui mettere le monetine che le do quando mi aiuta a fare i mestieri in casa -, al giardinaggio – abbiamo piantato un piccolo orticello -, all’auto-produzione – abbiamo fabbricato sapone liquido e, oggi, il pane che non siamo riusciti a comprare perché in Bassam i sostenitori di Ouattara hanno innalzato barricate per “chiudere” la città, un morto. Almeno se qualcuno ci attacca gli posso tirare una pagnotta, visto che sono venute “de coccio”).
Poi verso le cinque è l’ora della partita di calcio, a cui partecipano tutti entusiasticamente.
Ma è nelle serate a tema che diamo il meglio di noi. Non sono mai programmate: vengono da sole.
Per esempio, la sera del faccia-a-faccia, Isidor (il cuoco del ristorante comunitario) ci aveva fatto arrivare del futou; Caio e Mina hanno “uscito” dai loro zaini (sono arrivati dall’Italia da poco) pecorino e soppressata (e noi non abbiamo potuto fare a meno di notare che Caio, benché di Alba, non ha portato tartufi). Questa era la serata: “incontro tra due tradizioni culinarie”.
La vigilia del ballottaggio invece (forse la serata più riuscita), dopo un’amatriciana perfetta e un fritto misto alla piemontese, (ma anche prima e durante) ci siamo dati al Pastis. Il tema era: “tradizioni culinarie del Nord e del Sud Italia”. Oppure: “il trash”, non solo per il Pastis di dubbia qualità ma anche per la play-list che potete trovare riportata qui sotto:

1. Hanno ucciso l’uomo ragno – 883
2. Brutta – Alessandro Canino
3. Il cobra – Rettore
4. Il triangolo – Renato Zero
5. I like Chopin – Garbo (?)
6. Enola Gay – (?)
7. Sei un mito – 883
8. I will survive – Gloria Gaynor
9. Y.M.C.A. – Villane Peopole
10. I love you babe – Gloria Gaynor
11. Ramaya – Afrique Simone
12. Around the worl – Daft punk
13. You can’t hurry love – Diana Ross
14. Se m’innamoro – Ricchi e poveri

Ieri, dopo le notizie scoraggianti, non potevamo che darci al narghilè con tabacco alla mela (ovviamente dopo una padellata di fagioli alla Terence Hill in “Trinità”). Play-list:

1. Il rock del capitano Uncino – D.J. Francesco
2. Donna felicità - ?
3. Hot Stuff – Donna Summer
4. Supercafone – Piotta
5. Mary – Gemelli diversi
6. Un’estate al mare – Giuny Russo
7. Non tengo dinero – Righeira
8. L’estate sta finendo – Righeira
9. L’altra dei Righeira
10. Cicale – Heather Parisi
11. Let’s twis again – C.Checker
12. Maracaibo – Raffaella Carrà
13. Obsession – (?)
14. Candela – Noelia
(il trash ci perseguita)

Il tema era: “scopriamo nuove tradizioni culinarie” (insomma, avrete capito che il mangiare è un nostro chiodo fisso).
Oppure il tema poteva anche essere soggettivo: per Mina forse “Ma quando cazzo riuscirò a tornare in Italia?”; per Caio “quando ho fatto il colloquio di selezione per venire a lavorare qui avrei dovuto fare qualche domanda in più”; per Lina “dovevo fare la pasticcera”; per Mary “guardatemi come ballo bene”; per Leo “uffa non posso vedermi la Champions”; per me “ho fatto male a snobbare sempre Grande Fratello, Isola dei Famosi e La prova del cuoco”; per Yakou “Putain… la Cote d’Ivoire… tu vois?… un pays, deux presidents… djo…”.

venerdì 3 dicembre 2010

Un Paese, due presidenti

Dopo che il rappresentante speciale dell'Onu in Costa d'Avorio ha rigettato la decisione del Consiglio Costituzionale di assegnare la vittoria delle elezioni a Gbagbo, i consiglieri diplomatici del presidente uscente minacciano di espellere i rappresentanti delle Nazioni Unite.
Sono accusati di essersi messi al di sopra del Consiglio Costituzionale e di essere "agenti di destabilizzazione che incoraggiano alla violenza e non agenti di pace" (Alcide Djédjé, consigliere di Gbagbo).
Le accuse, dopo che l'Onu ha sostenuto la conclusione cui era giunta la Commissione Elettorale Indipendente e che dava invece vincente l'oppositore Ouattara: "Anche accogliendo tutti i ricorsi presentati dalla Maggioranza Presidenziale contro i presunti brogli, Ouattara resta in vantaggio". A quel punto il canale televisivo pubblico (l'unico che si può ancora vedere perché gli altri sono oscurati) ha iniziato a martellare sul tema delle ingerenze degli europei ex-colonialisti nella politica interna del Paese.
Per le strade della capitale Abidjan, nei quartieri che appoggiano Ouattara, i giovani hanno fatto barricate e incendiato pneumatici e così pure a Bouakè, capitale del Nord ex ribelle e bastione dell'opposizione. Mentre negli altri quartieri, abitati dai partigiani di Gbagbo, la gente gridava: "On s'en fout de l'ONU, on s'en fout des Blancs" ("Ce ne fottiamo dell'Onu, ce ne fottiamo dei bianchi").
Lo scattare del copri-fuoco ha disperso le manifestazioni.
Intanto è intervenuto anche il presidente Obama, che qui è un mito tanto quanto Drogba, "felicitandosi" con Ouattara per l'elezione e chiedendo a Gbagbo di "inchinarsi" al verdetto delle urne.
Difficile prevedere se questi gli darà ascolto; quel che è certo è che in Costa d'Avorio si stanno riaccendendo i fuochi nazionalisti e anti-occidentali che nel 2004 provocarono scontri tra esercito ivoriano e il contingente della missione francese Lyocorn, e la fuga precipitosa di novemila espatriati dell'ex-colonia.
"Putain, la Cote d'Ivoire... djo... un pays, deux presidents... djo..." è stato il commento di Yakou.

Cronaca di un colpo di stato/ultimo atto

Gbagbo si è fatto proclamare presidente dal Consiglio Costituzionale, e si insedierà già domani.
Il CCI ha annullato il voto nelle regioni favorevoli a Ouattara per presunti brogli, cosicché la vecchia volpe si attesta al 51,41% e Ouattara al 48,55% ribaltando così l'esito comunicato dalla Commissione Elettorale, di un voto considerato valido dall'Onu (che ha anche minacciato di chiudere tutti i finanziamenti nel caso in cui non venisse rispettata la volontà popolare).
In altre parole hanno rubato le elezioni. Hanno rubato gli ultimi dieci anni di storia del Paese, la volontà popolare, tutti i soldi che sono costate queste consultazioni, il futuro della Costa d'Avorio.
Non sappiamo bene che cosa succederà adesso. Dubito che l'opposizione accetterà questo epilogo e probabilmente ci saranno casini. Vi faremo sapere.

giovedì 2 dicembre 2010

Cronaca di un colpo di stato/2

La Cei ha proclamato Ouattara presidente (con 17 ore di ritardo... la puntualità africana è proverbiale!) e l’esercito ha chiuso le frontiere e sospeso le trasmissioni dei canali trelevisivi stranieri.
Noi abbiamo optato per una serata a base di droghe e alcol.
Com’era prevedibile, ieri sera, la CEI non è riuscita a comunicare i dati entro i termini fissati dalla legge, ma la legge non prevede che cosa succede quando ciò avvenga (che senso ha stabilire una regola se non prevedi un “piano B”, nel caso in cui la regola non venga rispettata? Soprattutto in Africa dove le regole sono una cosa alquanto soggettiva).
E come avviene spesso in questo Paese, la cosa non sembrava destare troppe preoccupazioni: questa mattina siamo usciti per fare opportuni accaparramenti (noi un po’ preoccupati lo eravamo!) e qui a Bassam c’eran un sacco di gente in giro, tranquilla, i negozi erano aperti, il nostro uomo nel PDCI (partito di Bedié che al secondo turno ha appoggiato Ouattara) assicurava che la palla adesso sarebbe passata al Consiglio Costituzionale, che non avrebbe potuto far altro che ratificare i dati della CEI (che non erano noti a nessuno peraltro!).
Questo succedeva a Bassam. Ad Abidjan invece i giovani di Gbagbo attaccavano una sede dei sostenitori di Ouattara e negli scontri sono morte 10 persone.
Per tutta la mattina e buona parte del pomeriggio ci siamo dunque scervellati su che cosa sarebbe potuto succedere, mentre facevamo la spesa; ci siamo interrogati sui sentimenti degli ivoriani in queste ore tese, mentre facevamo la pennichella di un pomeriggio torrido; ci siamo anche risposti che non ce ne fragava un cazzo (non è vero, vorrei proprio che questo Paese ripartisse perché se lo merita nonostante tutto, nonostante i Qwassy, i Yakoo se lo meritano!), mentre facevamo zapping tra Tv5, France 24 e RTI (la tv ivoriana il cui Tg è diretto da Minzolini... Poi ci è scaduto l’abbonamento quindi vedevamo solo i cartoni animati di Marysol... Poi hanno oscurato tutti i canali, quindi non vedevamo neanche quelli).
All’improvviso, mentre tutti i giornalisti stavando andando alla conferenza stampa del Consiglio Costituzionale (e l’abbonamento non ci era ancora scaduto), la CEI ha comunicato che Ouattara ha ottenuto il 54% dei suffragi.
Grande festa nel Nord, nei quartieri popolari di Abidjan, a Bassam, Yakoo è arrivato da noi con due bottiglie di birra per brindare al cambiamento, Ouattara parlava promettendo pace e un Governo di unità (se riuscirà a formarlo).
Intanto il Consiglio Costituzionale (per voce del presidente gbagboista) proclamava che “quei dati non hanno valore legale”, “che la CEI non è stata in grado di svolgere il proprio lavoro” e che spettava a loro stabilire chi era il nuovo presidente, entro i prossimi 7 giorni (chissà se hanno previsto un piano “c”).
Poi ad un certo punto un colonnello è andato al tg di Minzolini a dire che avrebbero chiuso le frontiere e oscurato le tv straniere (quindi questo blog potrebbe anche iniziare ad avere un senso).
Noi siamo qui, nel mio Paradiso (« les salop ont mi les feux dans mon Paradis” (Alpha Blondy), con i soliti amici, con Mina venuta qui in vacanza e che non si sa quando riuscirà a tornare in Italia, con Yakoo che ci traduce i brani di Tiken Jah dal djulà, con Caio (inizio ad essere a corto di nomi di fantasia) appena arrivato per sostituire Pina e già catapultato in una situazione ... come definirla? Elettrizzante? (forse “un po’ del cazzo” è più appropriato)... in cui peraltro sembra trovarsi abbastanza abbastanza a suo agio).
Non so veramente che commentare. Lascio a TikenJah le parole:
Le pays va mal
Mon pays va mal
Mon pays va mal
De mal en mal
Mon pays va mal
Avant on ne parlait pas de nordistes ni de sudistes
Mais aujourd'hui tout est gâté
L'armée est divisée
Les étudiants sont divisés
La société est divisée
Même nos mères au marché sont divisées
{au Refrain}
Avant on ne parlait pas de chrétiens ni de musulmans
Mais aujourd'hui ils ont tout gâté
L'armée est divisée
Les étudiants sont divisés
La société est divisée
Même nos mères au marché sont divisées
{au Refrain}
Nous manquons de remèdes
Contre l'injustice, le tribalisme, la xénophobie
Après l'ivoirité
Ils ont créé les ou les é o les é
{au Refrain}
Djamana gnagamou'na
Obafé kan'gnan djamana gnagamou he
Djamana gnagami'na lou ho
Obafé kan'gnan djamana gnagamou
Magô mi ba'fé kagnan djamana gnagamou
Allah ma'ho kili tchi'la
Djamana gnagamou'la lou ho
Djamana gnagamou'la
{au Refrain}

mercoledì 1 dicembre 2010

Mah?

I risultati del ballottaggio (più volte rimandati e attesi per questa mattina) non sono ancora stati comunicati e in compenso il coprifuoco (che sarebbe dovuto scadere domani) è stato prolungato fino a domenica!
È fin troppo chiaro che i risultati non sono favorevoli alla vecchia volpe Gbagbo e che i suoi emissari all’interno della CEI stanno facendo di tutto per evitare che i dati definitivi vengano diffusi.
Mi sembra altrettanto chiaro che il presidente uscente però non voglia o non possa (probabilmente l’esercito non è dalla sua parte) fare un atto di forza (altrimenti l’avrebbe già fatto). Per ora si limita a dimostrare che ha ancora il potere di decidere sul coprifuoco.
Ma il problema è che se la CEI non comunicherà il nome del nuovo presidente entro la mezzanotte di oggi, il voto sarà invalidato e sarà la Corte Costituzionale a doversi pronunciare (e come per il coprifuoco, anche in questo caso Gbagbo ha muscoli da mostrare).Non so come potrebbero prenderla a quel punto, i braccianti, gli immigrati, i musulmani, tutti coloro che si sono sempre sentiti discriminati e che si vedevano finalmente riscattati da una vittoria di Ouattara.
Le ultime notizie sono che la Commissione Elettorale ha “trovato un accordo” su 15 delle 19 regioni (il che fa già un po’ ridere perché trattandosi di numeri non capisco che cosa ci possa essere di opinabile). Le regioni contestate sono quelle in cui Ouattara è più forte (prima erano tre, ora sono diventate quattro forse perché il divario di voti è tale che al volpone non ne bastavano tre per tornare in vantaggio, il che dimostrerebbe che le recriminazioni del suo partito sono puramente pretestuose... d’altra parte gli osservatori internazionali hanno concluso tutti che il voto è stato regolare... con un’affluenza del 70% è difficile affermare il contrario!)
Ado, Onu e Sarkozy hanno intimato alla CEI di comunicare i dati prima di mezzanotte (mi sembra la fata di Cenerentola quando si sta per spezzare l’incantesimo).
E mentre mancano ancora tre ore per “trovare l’accordo” sulle altre regioni (Ouattara potrebbe anche decidere di chiedere a Gbagbo di partecipare al suo governo), le strade del Paese restano deserte e presidiate dai militari.

martedì 30 novembre 2010

Cronaca di un Colpo di Stato

Puntualmente la Commissione Elettorale Indipendente si è smentita. E puntualmente, in attesa della pubblicazione dei dati, circolano i rumors più inquietanti.
Già dalla sera di domenica, il portavoce di Gbagbo denunciava brogli nelle regioni del Nord e chiedeva di invalidare il voto. Anche gli osservatori internazionali hanno segnalato irregolarità più o meno gravi (la delegazione europea ha dovuto allontanare alcuni dei suoi da alcuni seggi, “perché minacciati”), ma il rappresentante dell’Onu continua a dire che tutto si è svolto nel rispetto della democrazia e anche il vicepresidente della Commissione elettorale (il presidente non si sa che fine abbia fatto) ribadisce che tutto sta procedendo in modo trasparente.
Sta di fatto che finora sono stati diffusi solo i dati parziali relativi agli ivoriani all’estero, dai quali Ouattara risulta al 60% e Gbagbo al 40%. E si mormora che la vecchia volpe si stia muovendo per non mollare il potere: qualcuno dice che abbia già preso l’aeroporto; altri smentiscono ma avvertono che qui a Bassam sarebbero arrivati un centinaio di suoi miliziani. Intanto ieri la capitale è rimasta senza corrente tutto il giorno.
I risultati erano attesi per questa mattina. Poi, inspiegabilmente, la truppe della Tv ivoriana è stata invitata a sloggiare dall’edificio della Commissione Elettorale, al di fuori del quale si erano dispiegate le forze dell’ordine.
E mentre Gbagbo faceva ricorso alla Corte Costituzionale per i presunti brogli, Ouattara lo accusava di voler impedire alla CEI di annunciare i risultati.
Non c’è migliore conferma a queste accuse, delle immagini che sono appena passate su Tv5 Monde (sì, lo so Franco: è questa la vera notizia e avrei dovuto scriverla in testa, ma questo è il mio blog non uno dei tuoi pezzi!): scena – il portavoce della Cei si appresta a leggere i risultati, circondato da giornalisti, microfoni e telecamere, quando due membri della Commissione, appartenenti al partito di Gbagbo, gli piombano addosso e gli strappano i fogli, gridando: “Questi dati sono falsi!”
Nessuno dei presenti reagisce, il portavoce della Commissione si limita a ribattere che “sono dati ben consolidati” e si eclissa.
A quel punto ogni comunicazione ufficiale viene rimandata a domani alle 11.00.
(Seguono ovvi appelli alla calma da parte della Clinton e altri).
Ma la cosa più inquietante è che Tv5 riferisce anche che “in un’Abidjan quasi deserta le forze di polizia sono dislocate in punti strategici” (quali siano non ho capito), mentre le truppe lealiste (1.500 soldati) dislocate al Nord per vegliare sul processo elettorale, sono state richiamate nella capitale.

domenica 28 novembre 2010

Ballottaggio

Ecco ci siamo: oggi è il gran giorno.
Queste ultime settimane di campagna elettorale sono state caratterizzate da qualche episodio di violenza (totale: quattro morti e centinaia di feriti), da uno storico faccia-a-faccia televisivo tra i due candidati (storico anche perché primo evento di questo genere in Costa d’Avorio), e dall’introduzione del copri-fuoco da ieri fino a mercoledì.
Gli scontri si sono verificati per lo più ad Abidjan, tra giovani delle opposte fazioni. Tranne l’ultimo, che ha fa fatto il maggior numero di vittime (tre): la polizia ha sparato sulle persone che manifestavano contro il coprifuoco (e questo è stato il primo risultato del decreto presidenziale - che dovrebbe avere l’obiettivo di evitarli i disordini!).
Il faccia-a-faccia è stata la cosa più antitelevisiva che io abbia mai visto (ben due ore – iniziate con un minuto di silenzio proposto da Gbagbo in ricordo delle vittime della guerra -, in cui i candidati avevano dieci minuti ciascuno per rispondere a ogni domanda); ma altrettanto interessante: Gbagbo e Ouattara si sono confrontati con un garbo sconosciuto ai nostri politici; all’inizio, il presidente uscente ha accusato l’antagonista di essere “responsabile di tutte le calamità che si sono abbattute sul Paese negli ultimi 11 anni” (testualmente, giuro! Berlusconi almeno si limita ad accusare tutti di essere semplicemente comunisti o di essere il “partito delle tasse” – ma tanto purtroppo gli basta). Ouattara gli ha risposto che lui era primo ministro nel governo rovesciato da Guei, mentre l’altro faceva comunella col golpista.
A parte questo, i due hanno amabilmente discusso di istituzioni (per Gbagbo bisogna mantenere l’attuale impianto presidenziale, per Ado si dovrebbe procedere ad una riforma che divida i tre poteri, assicuri una vera libertà di stampa e renda più efficiente la giustizia); di debito (un macigno di 6.700 miliardi, accumulato nell’era Houphouetista del capitalismo di stato – e della corruzione tutt’ora vigente - che grava sul Paese); di economia e disoccupazione (il vero cancro della Costa d’Avorio). Su questi temi, l’economista Ouattara si può dire che giocasse in casa: ha promesso investimenti per 12.000 miliardi in cinque anni per costruire strade, scuole, ospedali; mentre l’altro ha negato che ci sia grossa crisi (Silvio docet anche in questo caso… probabilmente pensa che gli ivoriani non mangino per mantenere la linea) e ha suggerito di risolvere il problema della disoccupazione arruolando tutti nell’esercito (uno dei punti del suo programma è avere “une armée forte et pouissante, à la dimension de son économie”… ora, a parte la contraddizione in termini tra un’armata forte e un’economia che non lo è affatto, checcazzo te ne fai di un esercito forte? Vuoi forse invadere la Polonia?). Ouattara gli ha risposto che l’esercito deve essere “muto” sulle questioni politiche e che comunque sarebbe meglio prima di tutto mettere in sicurezza le strade del Paese (qui un certo problema col crimine c’è per davvero).
In generale, Gbagbo è un miglior comunicatore, più populista, mentre l’altro più preciso e pragmatico non ha lo stesso carisma (e di fatti ha convinto me, che sono ineluttabilmente destinata a stare dalla parte degli sfigati).
Ma la cosa più interessante è stata seguire il dibattito con Yakou. Yakou è un nostro amico di qua, un ragazzo semplice e con pochi mezzi, ma molto attivo politicamente, per quanto disilluso, e sostenitore di Ado.
Ha seguito il dibattito con grande attenzione, intercalando ogni qualvolta quelli sparavano cifre, dei: “Djo [uomo, amico]… les politiciens, quand ils parlent… djo..” e un’altra formula che credo di poter tradurre con: “Non li devi stare a sentire perché ti riempiono la testa di stronzate… djo!”
Alla fine del dibattito, i candidati si sono impegnati ad accettare l’esito delle urne e hanno invitato i propri sostenitori a fare altrettanto. Ma, in più, Gbagbo ha decretato il coprifuoco (così Yakou è rimasto da noi). Ouattara l’ha rigettato perché “l’intervento dell’esercito potrebbe drammatizzare le cose” (come si è ben visto subito il mattino successivo). I detrattori del volpone sostengono che l’abbia fatto per meglio truccare il voto, secondo me è semplicemente per creare un clima di tensione che favorisca lo status-quo (da noi mettevano le bombe, in Piazza Fontana e altrove).
Dal canto suo la Commissione elettorale ha annunciato che darà i risultati già a partire da questa sera, per evitare le tensioni del primo turno e impedire a uno dei due di proclamarsi vincitore anzitempo (ma la Cei si è già contraddetta molte volte, non ultima quando ha fissato il secondo turno al 28 novembre, poi al 21 e infine ancora al 28). Nel frattempo anche Compaoré (il grande mediatore) è tornato a dire due parole ai pretendenti alla poltrona presidenziale (cosa gli abbia detto non si sa, ma l’ascendenza che questo personaggio – peraltro assassino di Sankara, lo statista più avanzato del panorama politico africano – esercita sulla politica ivoriana mi fa venire in mente le “offerte che non si possono rifiutare” de “Il Padrino”).Noi ci siamo barricati in casa come l’altra volta e abbiamo aggirato il coprifuoco dando una festa danzante con i nostri nuovi ospiti di cui vi racconterò nel prossimo post.

giovedì 4 novembre 2010

SOS: è finita la nutella e Bédié ha chiesto il riconteggio

Rieccomi! Scusate il ritardo (dovuto al fatto che aspettavo che la situazione si chiarisse un po’ di più, dopo che Bédié, escluso dal ballottaggio, ha chiesto il riconteggio dei voti).
Intanto non credo di avervi tenuti col fiato sospeso. E lo capisco: anche io se fossi in Italia, seguirei le elezioni di mid-term in Usa e sarei combattuta tra lo stile con cui Obama ha incassato il colpo e il dispiacere di vedere il primo presidente americano simpatico, costretto alla coabitazione coi repubblicani.
Ma invece sono in Costa d’Avorio e allora vi posso solo raccontare di queste elezioni storiche che arrivano dopo dieci anni di crisi politica. Almeno è diverso da quello che vi raccontano gli altri.
Comunque: la domenica elettorale non ha visto particolari incidenti. Nei giorni successivi la tensione è montata un pochino, nell’attesa dei risultati. La Commissione elettorale indipendente (CEI, che poi non so quanto sia indipendente), dopo un primo momento in cui aveva ritenuto di poter comunicare i dati già lunedì, si è ricreduta e ha annunciato che avrebbe utilizzato tutto il tempo a sua disposizione (quindi fino a mercoledì sera).
Semplici difficoltà logistiche, legate al tipo di conteggio utilizzato (manuale ed elettronico insieme), secondo la Cei. Ma anche qualche timore secondo la nostra fonte all’interno del PDCI (partito di Bédié): alcuni dati non ufficiali che iniziavano a circolare davano infatti in testa Bédié, seguito da Ouattara, con dunque il presidente uscente Gbagbo escluso dal ballottaggio.
Addirittura si è iniziato a vociferare che il ritardo nella presentazione dei risultati era dovuto al fatto che personalità religiose e politiche tra cui perfino il presidente burkinabé Blaze Compaoré, il grande mediatore grazie al quale si è arrivati agli accordi di pace di Ouagadougou, si stavano recando da Gbagbo per convincerlo a cedere il potere pacificamente.
E mentre si moltiplicavano gli appelli della comunità internazionale ai candidati, ad accettare “il verdetto delle urne, qualunque esso fosse”, la Cei, forse per mettere a tacere voci “diffuse ad arte dalle segreterie di partito”, si è di nuovo contraddetta pubblicando anzi tempo dati parziali. Che hanno smentito completamente i rumors precedenti: infatti secondo le cifre ufficiali (ma relative solo al voto degli ivoriani all’estero) Gbagbo è in testa, seguito da Ouattara e sarebbe quindi Bédié ad essere escluso dal ballottaggio.
Nella giornata di ieri, mentre i dati venivano rilasciati col contagocce (cosa che ha fatto dire sarcasticamente a qualche commentatore che gli ivoriani hanno saputo il risultato della Danimarca prima di quello del loro Paese), si confermava questo scenario. Ma la nostra fonte interna al PDCI insisteva che vi erano divergenze tra i verbali inviati dai seggi in cui erano presenti suoi rappresentanti di lista e quelli letti dalla Cei.
Lì per lì pensavamo che semplicemente non si arrendesse all’evidenza della sconfitta, anche perché contemporaneamente l’Onu dichiarava che si erano registrate solo lievi irregolarità, ma tali da non invalidare il voto (altre fonti sostenevano che in alcuni seggi agli osservatori internazionali è stato proibito di entrare, ma in generale tutti hanno sottolineato come il processo elettorale si sia svolto correttamente).
Ieri sera però, mezz’ora prima che scadesse il tempo a disposizione della Cei per la comunicazione dei dati definitivi, Bédié ha chiesto il riconteggio delle schede. A quel punto c’è stato un po’ di suspence: che avrebbe fatto la Commissione? Avrebbe atteso ancora prima di dare le ultime cifre, per valutare il ricorso?
Per fortuna no: i dati ufficiali danno Gbagbo al 38% e Ouattara al 36%, Bédié al 23%. Ma le cifre ufficiali potrebbero non essere definitive: la Corte Suprema ha infatti 7 giorni per accogliere il ricorso dell’ex presidente. Una tempistica che non dovrebbe interferire con il secondo turno, previsto tra due settimane, a meno che da un eventuale riconteggio non emergessero risultati molto diversi da questi (nel qual caso non so cosa farebbero: riconterebbero una terza volta per essere sicuri di aver contato giusto almeno la seconda? Io quando non mi tornano i conti faccio così, ma dubito che valga anche per le elezioni).
Nel frattempo noi ce ne stiamo barricati nel Centre Abel, ammazzando il tempo cucinando e approfittando dunque delle oculate scorte che ci siamo accaparrati (vino cileno, formaggi francesi, salsine libanesi e nutella che ormai è finita). Non tanto perché ci sia tensione in giro, quanto piuttosto perché in giro non c’è proprio niente: molti esercizi sono chiusi, le scuole riapriranno soltanto lunedì, le strade sono deserte, nonostante il capo di Stato Maggiore ieri in Tv abbia rassicurato la popolazione che non ci sono pericoli e si può tornare alle normali occupazioni (ma per la maggior parte qui sono disoccupati, dunque…).
La gente ha risposto con entusiasmo a questo scrutinio storico, premiato con un record d’affluenza dell’80%, ma poi si è chiusa in casa perché è stanca e spaventata: il timore è ovviamente quello di nuovi scontri, anche se appunto a me sembrano tutti stufi di crisi, politica e economica, e non aspettano altro che un po’ di stabilità per ripartire. Ma bisognerà vedere le capacità di mobilitazione di questi signori.
Gbagbo, negli anni passati aveva a sua disposizione i Giovani Patrioti, bande di giovani teppisti (mi dicono che gli studenti qui non sono come altrove, la forza che si oppone al potere costituito, bensì manovalanza arruolabile con promesse di posizioni sociali migliori). Ora non so che fine abbiano fatto e se salterebbero di nuovo fuori nel caso il volpone perdesse al ballottaggio. Per fortuna pare un’ipotesi remota. Dico per fortuna non perché mi piaccia particolarmente Gbagbo, ma perché è quello che potrebbe fare più danni se perdesse. Chi ha votato Bédié al primo turno, difficilmente però al secondo voterà Ouattara, piuttosto che votare un non-ivoriano al 100%, non andrà a votare. E così Ado sarà sempre più il simbolo del riscatto degli immigrati musulmani e una promessa di cambiamento che non si potrà mai realizzare.

sabato 30 ottobre 2010

VotaAntonioVotaAntonio!

Al diavolo l’ordine cronologico! Ho aperto questo blog a maggio e da allora cerco faticosamente di caricare tutto ciò che ho scritto dal primo giorno che sono arrivata qui. Ma la cosa va troppo a rilento (sia per le deboli connessioni della brousse, sia perché si tratta di decifrare appunti che ho scarabocchiato rigorosamente su fogli volanti, sia perché lo posso fare solo quando Marysol è a scuola – cioè tre ore al giorno - e quando non ho altre belinate tipo spesa, lavori di casa, aiutare Leo, ecc.).
E oggi è la vigilia di un avvenimento troppo importante per non decidere di seguirlo “in diretta”.

DOMANI IN COSTA D’AVORIO CI SARANNO LE ELEZIONI.

Si sa che in ogni Paese africano che si rispetti, le elezioni sono sempre un momento cruciale. A maggior ragione lo sono qui, dove le ultime si sono tenute 10 anni fa (e quindi hanno pensato bene che il giorno di Halloween fosse la data più adatta). Facciamo allora un piccolo passo indietro: la Costa d’Avorio ha avuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960. Da allora e per 33 anni, è stato presidente Félix Houphouet-Boigny (come avere Andreotti 7 volte Presidente del Consiglio), che ha governato con pugno di ferro (partito unico fino a metà degli anni ’80 e mass media sotto controllo), ma ha fatto del Paese la “Svizzera” dell’Africa (ricco, stabile, sviluppato, con buone infrastrutture, istruzione pubblica efficiente). Boigny ha anche trasformato il suo piccolo villaggio, Yamoussoukro, nella capitale, cingendolo di mura e facendolo diventare il suo Palazzo, e costruendo un’autostrada a quattro corsie illuminata, che porta verso una riproduzione a grandezza naturale sull’acqua della nostra Basilica di San Pietro, e verso null’altro. Morto lui, gli è succeduto Henry Konan-Bédié (che è ancora tra i candidati di queste elezioni – non è solo l’Italia ad avere una classe politica di mummie). Bédié viene rovesciato da un colpo di stato nel ’99 (al suo secondo mandato) da Robert Guéi.
Nel 2000 si tengono nuove elezioni: Guéi mette fuori gioco il suo principale avversario, Alasanne Ouattara, col pretesto dell’ivoirité (una fissa degli ivoriani che merita una piccola digressione: questo è un Paese ad alta immigrazione, proprio perché una volta era ricco e dal Burkina, dal Mali e da altri posti disperati, arrivavano i braccianti per le immense piantagioni di cacao, caffé, palma. Addirittura si dice che gli ivoriani “non abbiano voglia di far niente” – opinione di altri africani – perché non sono abituati a lavorare. Questi immigrati, poveracci e per lo più musulmani, sono concentrati soprattutto nel Nord del Paese e sono sempre stati trattati a pesci in faccia – vi ricorda qualcosa? -. Tanto che, appunto, se non si è ivoriani al 100%, non si può accedere alla carica di presidente. E Ouattara, pur essendo ex primo ministro ed ex funzionario del FMI – quindi una figura di respiro internazionale – ha la madre di origini burkinabè...).
Ma nonostante tutti i brogli di Guéi, nel 2000 vince il volpone Laurent Gbagbo (nome apparentemente impronunciabile, qui se la cavano con “Babò”). Dico “volpone” perché ha finora resistito ad innumerevoli tentativi di golpe e sollevazioni, è ancora presidente nonostante il suo mandato sia scaduto da cinque anni ed è nuovamente candidato in pole position per la rielezione. La prima rivolta si ha già nel 2002: porta alla morte di Guéi (non ho capito bene come) e all’occupazione del Nord da parte dei ribelli.
Il Paese rimane diviso in due e ciclicamente si registrano scontri, accordi di pace, nuovi scontri, arrivo di contingenti di pace (dell’Onu - con l’Onuci - e della Francia – che ha ancora stretti rapporti economici con l’ex colonia e numerosi espatriati – con l’operatione Lyocorn). L’apice della crisi si raggiunge nel 2004, quando Gbagbo bombarda le roccaforti dei ribelli beccando per sbaglio una base militare francese. Ma Jacques Chirac non sta certo a guardare i suoi soldati (nove) morire, e reagisce: le truppe francesi scatenano l’inferno per le strade di Abidjan (la capitale di fatto) e gli ivoriani in tutta risposta danno il via alla caccia ai bianchi (i nostri amici che erano qua già allora raccontano di essersela data a gambe – le proprie, perché l’ambasciata italiana si era dimenticata di evacuare Grand Bassam – verso il Ghana e sono tornati dopo sei mesi).
Per farla breve: l’ultimo accordo di pace (quello che sembra aver funzionato) è quello siglato a Ouagadougou nel 2007. Gbagbo è rimasto presidente di un governo di unità nazionale, con primo ministro Guillaieme Soro (capo dei ribelli del Nord). I ribelli si sarebbero dovuti disarmare, il governo avrebbe dovuto procedere ad aggiornare le liste elettorali e si sarebbero dovute fissare nuove elezioni, il tutto entro un mese e mezzo. Ovviamente da allora la data del voto è stata fissata ogni sei mesi e puntualmente rimandata.
L’ultima volta era stata fissata il 28 novembre 2009, poi, due giorni prima, si sono accorti che le liste non erano ancora aggiornate: in un Paese in cui l’anagrafe è un’entità estranea alla maggior parte della gente e in cui molti cittadini sono arrivati dall’estero parecchi anni fa, bisogna capire chi ha diritto al voto, stilare un elenco, pubblicarlo, dare il tempo agli esclusi di fare ricorso e alle istituzioni di esaminare tali ricorsi.
Il vecchio volpone Gbagbo, per guadagnare ancora un po’ di tempo ha poi pensato bene a febbraio di quest’anno di azzerare la Commissione elettorale che se ne stava occupando.
Ma alla fine ce l’hanno fatta e questa volta sembra proprio quella buona: i ribelli sono apparentemente disarmati, le lunghe code agli uffici pubblici dei giorni scorsi mostravano che finalmente dopo dieci anni venivano distribuite le carte d’identità (con scene alla napoletana in cui c’erano quelli che arrivavano prima a prendere il posto per venderlo a quelli dopo) e la campagna elettorale si è svolta pacificamente. Per inciso: queste sono le elezioni più care della storia, 66 dollari per elettore, contro i nostri 3.
I candidati sono 14 (tra cui una sola donna), ma i più quotati sono il volpone Gbagbo (che ha invaso Abidjan di manifesti elettorali e ha avuto a disposizione ingenti somme di denaro per pagare chiunque perché andasse in giro con i suoi distintivi), la mummia Bedié e Ouattara (che ormai è diventato una sigla – ADO, dalle sue iniziali – e ha fatto una campagna in stile Berlusconi – presidente operaio, padre di famiglia, medico, professore, con promesse velleitarie tipo un milione di posti di lavoro).
Il sistema è un doppio turno alla francese. Quindi adesso iniziano i pronostici: chi va al ballottaggio? Ma soprattutto cosa succederà dopo? Saranno tutti disposti ad accettare il risultato delle urne?
La maggior parte dei lavoratori della Communauté Abel si dice sicura che tutto andrà liscio. Gli altri italiani di Bassam si sono organizzati, chi prevedendo il rientro anticipato in patria, chi facendo un visto preventivo per il Ghana. Noi abbiamo fatto scorta di Nutella per essere sicuri di poter rimanere tappati in casa se si rendesse necessario.
L’ambasciata italiana, dopo aver fatto per la quarta volta in un anno un censimento degli italiani qui, nei giorni scorsi ha convocato una riunione in cui non ha detto niente (piani di fuga, numeri utili, boh?). E ieri ci ha bombardato di sms del tipo: “Potrebbero esserci manifestazioni di piazza”... Ma va? E quindi? Finalmente al quarto messaggio hanno anche diffuso un numero telefonico di emergenza.
Quello che vedo io è un Paese che una volta era ricco e in cui oggi i giovani non trovano uno straccio di lavoro. Un Paese che aveva strade e marciapiedi ormai sbriciolati. Che aveva scuole pubbliche dove ora ci sono 80 studenti per classe e in cui i professori vanno una volta ogni tanto, cosicché l’amica di Mary che ha 9 anni e fa la 4° elementare non sa scrivere “aurevoire” e il tasso di analfabetismo supera il 50%, soprattutto tra i giovani, anche tra quelli (pochi) che sono andati a scuola.
Ma vedo anche un Paese che ha voglia di rinascere, che aspetta solo un po’ di stabilità politica per ripartire. L’altra domenica siamo andati ad Assouendé, un piccolo villaggio in riva al mare. Una volta là c’era un ClubMed, uno stabilimento immenso e forse una volta bellissimo, ormai ridotto ad area dismessa fantasma. Lì vicino hanno appena finito di ricostruire un nuovo resort e pare che anche in quello vecchio siano cominciati i lavori di ristrutturazione. Me la voglio immaginare così la Costa d’Avorio di domani, un Paese incantevole e ricco di risorse, che si può offrire in tutta tranquillità ai turisti e agli investimenti stranieri. Come qui vicino a casa nostra dove c’è una zona franca che sarebbe dovuta diventare polo delle telecomunicazioni che da quattro anni aspetta che qualcuno si decida a costruirici.
Vi farò sapere nei prossimi post se così sarà.

sabato 20 febbraio 2010

Colpetto di Stato

Che emozione, posso dire di aver assistito ad un piccolo colpo di stato… anche se fatto all’ivoriana, quindi poco seriamente (per fortuna! Se fa figo “vantare” una simile avventura, non avevo comunque voglia di ammassarmi alla frontiera col Ghana per sfuggire non so bene a chi e perché).
Tutto è cominciato quando il presidente della Repubblica ha azzerato governo e commissione elettorale indipendente (la Costituzione gli dà il potere di farlo, e il fatto che il presidente della commissione elettorale stesse iscrivendo tra gli aventi diritto al voto, cittadini di Paesi confinanti, gli ha fornito il pretesto).
Il problema è che ciò avviene alla vigilia di elezioni rimandate da almeno cinque anni (e che potrebbero stabilizzare il paese e far ripartire l’economia). Gli ex ribelli, che avevano già tentato un golpe contro questo Capo dello Stato e che ora sono nel governo di unità nazionale scaturito dagli accordi di pace, sono d’accordo col loro ex-nemico (?), ma l’opposizione (anche i governi di unità nazionale che tengono insieme golpisti e “golpati” hanno un’opposizione?) grida al putch e sostiene che non riconoscerà alcun nuovo governo, invitando la popolazione all’insurrezione.
Qui in realtà la gente non ha più voglia di guerra (l’impressione è che con questo caldo non abbiano voglia di fare alcunché, men che meno uccidersi a vicenda, quando già muoiono di fame).
Ma ci sono state comunque delle manifestazioni (e qui i cortei non sono concepiti come gente che sfila con delle bandiere e black block idioti che spaccano le vetrine; qui passano subito alla fase due: cominciano col dare alle fiamme dei pneumatici in mezzo alla strada per tenere lontana la polizia e poi vedono che succede… qualche volta su quei pneumatici cercano di arrostire qualcuno).
Anche nella placida e sonnacchiosa Bassam c’è stato un po’ di trambusto, quando il PDCI ha deciso di bloccare la città per protesta; noi eravamo stati preavvertiti dal “nostro uomo nel partito dell’opposizione” e quindi non ci siamo mossi dal Centre Abel (anche se è stata dura convincere la suocera che non valeva la pena rischiare la pelle per andare a procurarsi un po’ di birra).
Questa è un’oasi felice (senz’acqua nè luce, ma al riparo da possibili violenze). La cosa peggiore che mi è capitata è svegliarmi con una caviglia a zampogna, temendo che vi fosse entrato un verme (cosa che da queste parti può succedere, ma non era il mio caso… sapete? Io sono un po’ paranoica e qui come ti giri puoi beccare – saltando i capitoli aracnidi e rettili-: malaria, febbre gialla, dengue -che può manifestarsi anche come febbre emorragica tipo ebola-, Tbc, poliomielite – anche per chi ha i vaccini europei, più sicuri ma meno efficaci-, ameba e svariati altri parassiti intestinali, filaria e altri allegri vermi della pelle… le prime volte che andavo in piscina temevo perfino di prendermi la bilarzia – poi mi hanno spiegato che è solo nella laguna-).
Però una cosa mi ha molto impressionato: vedere i militari parlare al Tg (i delestage sono stati momentaneamente accantonati): sigla, il conduttore è in studio e dopo una formula rituale di saluti passa la parola a quattro omoni in divisa, seduti accanto a lui. O meglio, la passa a quello con la mimetica (l’uomo d’azione evidentemente), perché gli altri sembra che dormano (ma non si capisce perché hanno berretti e occhiali da sole… in uno studio televisivo?! Mah, forse sono finti). L’uomo con la mimetica dice che loro sono pronti ad affrontare qualsiasi manifestazione (e chissà perché a me viene in mente il G8 di Genova, i lacrimogeni sparati ad altezza uomo, le manganellate ai “chierichetti” inginocchiati e con le mani in alto, la fuga nei carrugi, i feriti, il sangue, gli elicotteri che ronzano sopra alla testa, gli occhi pieni di lacrime e di paura e sgomento – uno shock ancora vivo in me, che non ero alla Diaz o a Bolzaneto ma che non posso ancora accettare che il mio Paese abbia fatto questo… No, quei signori in Tv stasera non stanno dicendo che gestiranno l’ordine pubblico, stanno dicendo che reprimeranno). Quando l’uomo con la mimetica ha finito di parlare: sigla, pubblicità, telenovela. Parola al dissenso, manco a parlarne… Il direttore si chiama “qualcosa” Minzolinum! Alla fine è arrivato il presidente del Burkina, grande mediatore, l’opposizione ha avuto qualche ministero nel nuovo governo e la direzione della nuova commissione elettorale e hanno fatto la pace. Lo scherzetto è costato la vita a sette persone uccise negli scontri.

venerdì 5 febbraio 2010

Delestage

GIORNO 1
Da stamattina mancano luce e acqua corrente. In tutta la Costa d’Avorio.

GIORNO 2
Luce e acqua non sono ancora tornate. Pare che sarà così per molto tempo: si è rotta una turbina, la lapidaria spiegazione. Già, perché a fornire energia a tutta la Costa d’Avorio (e qualche Paese limitrofo) è un’unica grande centrale. E per riparare il guasto dicono che ci vorranno tre mesi. E anche il pompaggio dell’acqua va a corrente elettrica.

GIORNO 3
L’acqua è tornata per qualche ora, il tempo necessario per riempire tutte le taniche, le bottiglie, i bidoni e i secchi che abbiamo in casa. La luce no. Per il momento ci siamo organizzati con candele e lampade a petrolio per la sera. Ma il frigo ormai ha allagato la cucina e le cose dentro stanno andando a male (con grande gioia delle formiche che lo hanno eletto a loro località di villeggiatura preferita). Computer e telefonini hanno esaurito la loro autonomia e inoltre mi tocca fare il bucato a mano; ma la cosa peggiore è dover fare a meno di condizionatore e ventilatori.

GIORNO 4
Ho scoperto che ci si può fare una doccia con una bottiglia da un litro e mezzo: pensa quanta acqua sprechiamo di solito. Questo ovviamente significa che siamo di nuovo senz’acqua, ma è tornata la luce.

GIORNO 5
Quella sconsiderata di mia suocera ha lavato i piatti. È una cosa che ha deciso di fare sempre da quando è qua, anche se sa benissimo che a me dà fastidio (perché ho tutte delle mie manie particolari, tipo che i piani vanno messi a scolare coi piani e i fondi coi fondi, che c’è una spugna ben precisa per lavarli che non è quella per le superfici, che vanno lavati sia sopra che sotto e che in ultima analisi alla fine siano puliti – particolare che le sfugge, costringendomi a rilavarli di nascosto perché non si offenda). Ma la gravità del suo gesto oggi sta nel fatto che in questo modo ha esaurito le nostre scorte d’acqua: 13 bottiglie da un litro e mezzo per lavare 6 piatti!!!!!!!

GIORNO 6
Ho finalmente avuto l’esatta percezione di ciò che significa “caldo umido”. Finora non me ne ero lamentata più di tanto. L'umido è vero si mangia tutto (non solo i miei strumenti tecnologici, ma anche i muri, le cose, mi si sono arrugginite le forbicine per le unghie, mi è ammuffito il k-way, qualcuno ha scritto:"L'Africa trasuda"). E fa caldo certo, ma niente in confronto agli agosti milanesi, in cui il sole ti fotocopia sul marciapiede, mentre dall’asfalto e dal cemento tutto intorno a te sale una canicola che sembra di essere in un forno a microonde, magari con lo smog che tappa il cielo e toglie l’aria; o come i giugni pavesi, quando sembra di respirare acqua e ti senti come un pesce nella boccia.
Qui il sole è forse più rovente, ma ci sono più alberi e meno asfalto e la terra è una distesa piatta e infinita su cui il vento può rotolare dall’Oceano fino a noi. In casa poi ci sono ventilatori e condizionatore… Quando c’è corrente (elettrica, perché quella dell’aria si percepisce appena, nonostante la nostra abitazione sia aperta ai quattro venti, per via del muro di cinta).
Ecco il tasto dolente: l’altra sera me ne stavo seduta in poltrona a fissare il buio; mancando la luce non ci si può nemmeno godere un film a fine giornata e allora i libri diventano i migliori compagni di viaggi mentali (li ho già fulminati tutti, compresa l’intera trilogia di Millennium – il primo tomo 700 e passa pagine, me lo sono letto in una settimana). Ma leggere al lume di una fiammella tremolante stanca la vista. Allora ho potuto considerare come fossi avvolta in una bolla di vapore acqueo prodotto da me medesima: sudi perché fa caldo, il sudore evapora ma mica tanto, perché l’aria circostante è già satura di umidità, e così rimane nebulizzato intorno a te e tu respiri ciò che traspiri. Fenomeno interessante.

GIORNO 7 - notte
È calato il buio totale. Anche i lampioni del Centre Abel sono fuori combattimento. Tra le fronde scure degli alberi leggermente mosse dalla brezza si intravede un’esplosione di stelle. La luna è una falce d’argento perfetta, si scorge appena il vago anello che completa la sua rotondità. Non è piena, questo mi permette di scivolare fuori di soppiatto dalla porta senza il rischio di essere scorta. Il chiasso di grilli e rane copre i miei passi felpati. Io e la mia nube di vapore ci spostiamo verso la fontanella del cortile, dove giacciono il barrique (botte) ormai asciutto e le ultime due taniche d’acqua. Sono quelle il mio obiettivo: devo accaparrarmene una prima che ci arrivino i vicini o domani non potrò farmi il bidet.
Piombo sul contenitore come un rapace, afferro il manico e scatto verso la vittoria… o almeno ci provo: la tanica è più pesante di quanto mi aspettassi, lo strattone mi fa perdere l’equilibrio, pesto la coda al gatto (mi sta sempre letteralmente tra i piedi, l’animale!), che fugge lanciando un urlo da bimbo strozzato e buttando all’aria la gavetta del guardiano che rotola sul selciato con gran clangore. “Sono perduta, mi scopriranno!”… ma no: il ronzio del condizionatore della stanza di Lina mi fa capire che è tornata la corrente e tutti saranno nei loro letti sudati a esalare un sospiro di sollievo. Devo approfittare di questo momento per guadagnare l’uscio prima che si riaccendano i neon esterni che già stanno lampeggiando. Uno sforzo estremo e… ce l’ho fatta: l’igiene personale ancora per domani è assicurata… mi sento un po’ Mad Max.

GIORNO 8
I delestage sono cominciati ormai da una settimana. È proprio vero che ci si abitua a tutto: noi ci siamo organizzati con pile e scorte. Ogni tanto un urlo proveniente da un qualsiasi punto del Centre, avvisa che sono tornate o luce o acqua e allora si corre a ricaricare e riempire.
Ma io mi chiedo: e gli altri? Non parliamo delle attività economiche: vedo già i danni che la mancanza di elettricità provoca alle sarte e ai falegnami del progetto, con le macchine ferme da giorni. Ma gli altri, la gente comune, che deve spartirsi una fontanella di acqua potabile con popolosissimi caseggiati? Finisce che beve acqua di pozzo, che qui fortunatamente non mancano, ma sulla cui igiene non ci sono dubbi: prima di poter bere quell’acqua melmosa bisogna farla bollire e filtrarla, prassi che dubito siano abituati a seguire. C’è un indiscutibile rischio epidemie. Acuito dal fatto che la catena del freddo così più volte interrotta ha sicuramente danneggiato molti vaccini, che saranno comunque inoculati anche se inutilmente.

GIORNO 9
Sono appena tornate sia luce che acqua contemporaneamente. Non sappiamo quanto durerà, sicuramente non abbastanza per fare i bucati di tutti (condividiamo la lavatrice con i vicini).
Io scatto brandendo il cestone maleodorante tra le braccia, mentre Marysol mi sgambetta dietro raccattando i panni che nella folle corsa volano fuori.
Attraverso il cortile come una furia, questa volta salto il gatto. Sfondo la porta dei vicini lasciando la mia sagoma impressa nella zanzariera, scarto Lina che mi aspettava dietro l’angolo per placcarmi (fortuna che giocavo a rugby). Imbocco il corridoio che piega a gomito, scivolo (dimenticavo l’acqua fuoriuscita dal frigo), becco lo spigolo del tavolo. Ci lascio l’anca ma il colpo mi rimette in equilibrio e d’un balzo raggiungo lo studio (luogo ovvio in cui installare una lavatrice). Ma trovo l’elettrodomestico già in funzione.
Dietro di me, Pina appoggiata allo stipite della porta sorride facendo brillare un canino. “L’avevo già predisposta” mi dice.
“Aaastuta!”

GIORNO 10
Gesti automatici: ormai mi aggiro per casa al buio anche quando c’è la corrente. E se prima mi veniva automatico di aprire il rubinetto anche quando sapevo che non c’era acqua, ora afferro la bottiglia anche quando c’è.
Oggi eravamo anche senza rete telefonica (e quindi anche internet). Ci manca solo che finisca la bombola del gas.

GIORNO 11
Ho parlato troppo presto: è finita la bombola, ma a questo si rimedia in fretta.
Intanto c’è stato un assalto alla Compagnia elettrica da parte della popolazione esasperata (giuro: io non c’ero, ma solo perché non mi avevano avvisato). Questo almeno è servito per far capire che si può togliere la corrente a turno tra diversi settori (evitando di toglierla contemporaneamente al settore che sta a monte dell’acquedotto e a quelli che stanno a valle, in modo di avere almeno una delle due utility alla volta), e soprattutto rispettando un calendario più o meno fisso, in modo che uno sappia che “quei” tre giorni alla settimana (magari non consecutivi) può anche morire (o fare la lavatrice).
Insomma, un po’ che come ho detto ci si abitua a tutto, un po’ che ci siamo organizzati (il martedì facciamo il bucato, il giovedì moriamo e il sabato andiamo al maqui – le trattorie in cui affoghiamo le nostre frustrazioni da telespettatori impediti), ma sembra che la situazione si stia normalizzando.
Almeno dal punto di vista dei delestage.
Perché sul fronte politico ci sono invece un po’ di tensioni.
Ma almeno, per consentire ai politici di comparire nei tg e per non esasperare ulteriormente gli animi, le interruzioni di corrente si stanno addirittura riducendo.

giovedì 28 gennaio 2010

Buon Natale!

Il rientro in Italia è stato movimentato innanzitutto dalla scoperta (la vigilia di Natale) che ero incinta!
Per noi, una bellissima notizia: mi piacerebbe avere un figlio per rivivere l’emozione di vederlo crescere. Ogni giorno con Marysol scopro cose che mi divertono, che mi spalancano un mondo di logica completamente diversa da quella di un adulto, una lente che permette di vedere cose che i grandi non sono più capaci di vedere e che paradossalmente mi aiutano a crescere.
Essendo che ogni giorno ce n’è una diversa, quelle passate si dimenticano in fretta per lasciare posto a quelle nuove. Poi, quando guardi indietro ti mancano. Mi ricordo della prima volta che ha riso (aveva due mesi); di quando le ho costruito un omino coi Lego che era alto quasi quanto lei e aveva le braccia sollevate nel gesto che lei faceva quando voleva essere presa in braccio, allora lei passandogli vicino gli ha detto: “Ciao bimbo, baccio (braccio)? No? Ciao”; di quando aveva appena iniziato a camminare e barcollando si aggirava per casa indaffaratissima a spostare oggetti; di quando è venuto l’idraulico e ha completamente distrutto il bagno e a lei era sembrata una grande impresa, allora quando il papà è rientrato alla sera gli ha detto: “Io! Io!” indicandogli le macerie e Leo le ha chiesto: “Tu hai distrutto il bagno?”, lei a quel punto ha intuito che non fosse cosa di cui andare fieri e repentinamente ha risposto: “No, mamma”.
Insomma, momenti lontani. Per quello vorrei ricominciare tutto daccapo. E vorrei proprio farlo io questo figlio, per vivere tutta la parte del rapporto intrauterino, del mio corpo che si trasforma e di una vita con cui inizi ad avere già una relazione prima ancora che nasca. Mi ricordo di quando sentivo Mary muoversi nella pancia, si muoveva spesso, soprattutto quando mangiavo cioccolata o quando sentiva la voce di Leo; da questo si capivano già molte cose di lei: che è vivace, che è golosa e che è innamorata del suo papà.
Il problema della mia nuova gravidanza dunque non era certo nostro (che avevamo messo in conto una gestazione africana), ma di mia suocera.
Mia suocera è una di quelle persone secondo cui al mondo esistono solamente due tipi di opinioni: le sue e quelle sbagliate. Non può quindi trattenersi dal dire sempre la sua, anche quando non è richiesta, anche quando non è affar suo, anche quando sono argomenti di cui non sa un tubo, e con maggior compiacimento se ciò che ha da dire è sgradevole per chi ascolta. A ciò si aggiunga che i suoi non sono mai consigli, ma direttive.
Le mie gravidanze per lei sono un problema perché la fanno sentire defraudata del suo ruolo di madre universale: la prima volta che sono rimasta incinta (di Marysol) è andata in grande depressione e tempo dopo mi ha confessato che è stato perché “a quel punto passava in terza posizione” (dopo la nipotina e dopo di me che le ho portato via il suo figliolo – e in effetti anche il giorno del nostro matrimonio aveva l’aria tutt’altro che felice ora che ci penso). Io avevo provato a farle capire che non si trattava di una gara podistica, che si vuole bene a tante persone in modi diversi ma con la stessa intensità e che le priorità vengono stabilite di volta in volta a seconda delle necessità. Ma quando sono rimasta incinta la seconda volta è andata di nuovo fuori di melone (non oso dire che sia stato per una sua macumba, se al quarto mese, durante un controllo di routine, è risultato che il battito del cuoricino non c’era più).
Per cui io mi sono ritrovata: incinta (con tutte le ansie che potesse andare di nuovo male); sola (perché Leo è ripartito quasi subito per l’Africa); male accompagnata (da mia suocera che già prima di sapere non sembrava in grado di intendere e volere per la nostra lunga assenza colmata con un po’ troppi bicchierini, e che poi è stata capace solo di insultarci per la nostra “assurda idea di avere un altro figlio” - in Africa); a dover gestire tutte le visite e i rientri necessari (cosa già di per sé non facile, soprattutto durante le vacanze di Natale).
Manco a dirlo, dopo i primi controlli andati bene, a due giorni dalla mia ripartenza per la Costa d’Avorio, durante un’ecografia… il cuoricino non batteva più… di nuovo.
Ricovero immediato e di nuovo operazione. Al dispiacere, all'angoscia per questo figlio che desidero e che non riesco ad avere, alla fatica di affrontare ancora un giorno intero senza mangiare né bere, lasciata ad aspettare dieci ore su una brandina in corridoio l'anestesia totale, e poi i dolori e ancora attesa il tutto affrontato con Leo lontano, si aggiunge la rabbia per una situazione che ha del grottesco.
Qualche esempio:
Domanda – “Dottore, è già la seconda volta che mi succede. Perché?”
Risposta – “Si tratta di casualità...come vincere al Superenalotto...”.
Io, seduta su una poltroncina di una squallidissima sala del Niguarda mentre un’infermiera cerca disperatamente una vena con ancora un po’ di sangue, mi trattengo dall’osservare che non mi è mai capitato di vincere due volte di fila al Superenalotto (neanche una a dire il vero) e torno a chiedere:
D. - “Cosa posso fare per evitare che il 'caso' si accanisca in questo modo?”
R. – “Se lei vuole un altro figlio deve continuare a provarci!”
Ero troppo prostrata per fargli notare che non sono una mucca ma una donna, che sì desidera un figlio ma che non può rischiare di affrontare tutto questo per la terza volta, senza avere non dico la certezza ché non c'è mai, ma almeno la ragionevole speranza di arrivare felicemente fino alla fine.
Be’, per farla breve: martedì sono entrata in ospedale alle 7.30 del mattino e ne sono uscita alle 22.30. Mercoledì ho fatto le valige e trovato il tempo di andare anche dal parrucchiere (piccoli gesti per accudire questo corpo martoriato... per la cronaca: l’infermiera alla fine la vena l’ha trovata ma solo dopo avermi cosparso le braccia di ematomi), e giovedì sono partita trascinandomi dietro la suocera (che alla notizia ha commentato entusiasticamente: “Si vede che non è destino”). Suocera che nonostante le ossa rotte (era caduta incrinandosi le costole), non avrebbe mai e poi mai rinunciato a venire a controllare la nostra nuova sistemazione.Insomma, questo è stato il mio “Buon Natale”, ma per fortuna ora sono di nuovo qui, con Leo e Mary (la mia migliore alleata in tanti momenti brutti).