giovedì 28 gennaio 2010

Buon Natale!

Il rientro in Italia è stato movimentato innanzitutto dalla scoperta (la vigilia di Natale) che ero incinta!
Per noi, una bellissima notizia: mi piacerebbe avere un figlio per rivivere l’emozione di vederlo crescere. Ogni giorno con Marysol scopro cose che mi divertono, che mi spalancano un mondo di logica completamente diversa da quella di un adulto, una lente che permette di vedere cose che i grandi non sono più capaci di vedere e che paradossalmente mi aiutano a crescere.
Essendo che ogni giorno ce n’è una diversa, quelle passate si dimenticano in fretta per lasciare posto a quelle nuove. Poi, quando guardi indietro ti mancano. Mi ricordo della prima volta che ha riso (aveva due mesi); di quando le ho costruito un omino coi Lego che era alto quasi quanto lei e aveva le braccia sollevate nel gesto che lei faceva quando voleva essere presa in braccio, allora lei passandogli vicino gli ha detto: “Ciao bimbo, baccio (braccio)? No? Ciao”; di quando aveva appena iniziato a camminare e barcollando si aggirava per casa indaffaratissima a spostare oggetti; di quando è venuto l’idraulico e ha completamente distrutto il bagno e a lei era sembrata una grande impresa, allora quando il papà è rientrato alla sera gli ha detto: “Io! Io!” indicandogli le macerie e Leo le ha chiesto: “Tu hai distrutto il bagno?”, lei a quel punto ha intuito che non fosse cosa di cui andare fieri e repentinamente ha risposto: “No, mamma”.
Insomma, momenti lontani. Per quello vorrei ricominciare tutto daccapo. E vorrei proprio farlo io questo figlio, per vivere tutta la parte del rapporto intrauterino, del mio corpo che si trasforma e di una vita con cui inizi ad avere già una relazione prima ancora che nasca. Mi ricordo di quando sentivo Mary muoversi nella pancia, si muoveva spesso, soprattutto quando mangiavo cioccolata o quando sentiva la voce di Leo; da questo si capivano già molte cose di lei: che è vivace, che è golosa e che è innamorata del suo papà.
Il problema della mia nuova gravidanza dunque non era certo nostro (che avevamo messo in conto una gestazione africana), ma di mia suocera.
Mia suocera è una di quelle persone secondo cui al mondo esistono solamente due tipi di opinioni: le sue e quelle sbagliate. Non può quindi trattenersi dal dire sempre la sua, anche quando non è richiesta, anche quando non è affar suo, anche quando sono argomenti di cui non sa un tubo, e con maggior compiacimento se ciò che ha da dire è sgradevole per chi ascolta. A ciò si aggiunga che i suoi non sono mai consigli, ma direttive.
Le mie gravidanze per lei sono un problema perché la fanno sentire defraudata del suo ruolo di madre universale: la prima volta che sono rimasta incinta (di Marysol) è andata in grande depressione e tempo dopo mi ha confessato che è stato perché “a quel punto passava in terza posizione” (dopo la nipotina e dopo di me che le ho portato via il suo figliolo – e in effetti anche il giorno del nostro matrimonio aveva l’aria tutt’altro che felice ora che ci penso). Io avevo provato a farle capire che non si trattava di una gara podistica, che si vuole bene a tante persone in modi diversi ma con la stessa intensità e che le priorità vengono stabilite di volta in volta a seconda delle necessità. Ma quando sono rimasta incinta la seconda volta è andata di nuovo fuori di melone (non oso dire che sia stato per una sua macumba, se al quarto mese, durante un controllo di routine, è risultato che il battito del cuoricino non c’era più).
Per cui io mi sono ritrovata: incinta (con tutte le ansie che potesse andare di nuovo male); sola (perché Leo è ripartito quasi subito per l’Africa); male accompagnata (da mia suocera che già prima di sapere non sembrava in grado di intendere e volere per la nostra lunga assenza colmata con un po’ troppi bicchierini, e che poi è stata capace solo di insultarci per la nostra “assurda idea di avere un altro figlio” - in Africa); a dover gestire tutte le visite e i rientri necessari (cosa già di per sé non facile, soprattutto durante le vacanze di Natale).
Manco a dirlo, dopo i primi controlli andati bene, a due giorni dalla mia ripartenza per la Costa d’Avorio, durante un’ecografia… il cuoricino non batteva più… di nuovo.
Ricovero immediato e di nuovo operazione. Al dispiacere, all'angoscia per questo figlio che desidero e che non riesco ad avere, alla fatica di affrontare ancora un giorno intero senza mangiare né bere, lasciata ad aspettare dieci ore su una brandina in corridoio l'anestesia totale, e poi i dolori e ancora attesa il tutto affrontato con Leo lontano, si aggiunge la rabbia per una situazione che ha del grottesco.
Qualche esempio:
Domanda – “Dottore, è già la seconda volta che mi succede. Perché?”
Risposta – “Si tratta di casualità...come vincere al Superenalotto...”.
Io, seduta su una poltroncina di una squallidissima sala del Niguarda mentre un’infermiera cerca disperatamente una vena con ancora un po’ di sangue, mi trattengo dall’osservare che non mi è mai capitato di vincere due volte di fila al Superenalotto (neanche una a dire il vero) e torno a chiedere:
D. - “Cosa posso fare per evitare che il 'caso' si accanisca in questo modo?”
R. – “Se lei vuole un altro figlio deve continuare a provarci!”
Ero troppo prostrata per fargli notare che non sono una mucca ma una donna, che sì desidera un figlio ma che non può rischiare di affrontare tutto questo per la terza volta, senza avere non dico la certezza ché non c'è mai, ma almeno la ragionevole speranza di arrivare felicemente fino alla fine.
Be’, per farla breve: martedì sono entrata in ospedale alle 7.30 del mattino e ne sono uscita alle 22.30. Mercoledì ho fatto le valige e trovato il tempo di andare anche dal parrucchiere (piccoli gesti per accudire questo corpo martoriato... per la cronaca: l’infermiera alla fine la vena l’ha trovata ma solo dopo avermi cosparso le braccia di ematomi), e giovedì sono partita trascinandomi dietro la suocera (che alla notizia ha commentato entusiasticamente: “Si vede che non è destino”). Suocera che nonostante le ossa rotte (era caduta incrinandosi le costole), non avrebbe mai e poi mai rinunciato a venire a controllare la nostra nuova sistemazione.Insomma, questo è stato il mio “Buon Natale”, ma per fortuna ora sono di nuovo qui, con Leo e Mary (la mia migliore alleata in tanti momenti brutti).