martedì 10 novembre 2009

L’arrivo

Come se mi avessero gettato in faccia una salvietta imbevuta di vapore, tipo quelle che danno al ristorante cinese, per pulirsi le mani. Questa la prima sensazione appena uscita dall’aeroporto.
Siamo arrivati ad Abidjan che era buio (qui il sole cala sempre presto, verso le 18). Così mi sono esercitata nel “gioco dei cinque sensi”: tutto ciò che riesco a percepire nell’oscurità. Prima di tutto il clima (caldo-umido appunto) di questo novembre ivoriano.
Poi gli odori: salmastro, legna affumicata, vago sentore di fogna come nota di sottofondo.
Voci: una lingua più simile al bergamasco che al francese, sillabe strascicate come tiritere di venditori ambulanti, parole che finiscono in incomprensibili eeo, ôôô, ềềla. E ogni tanto in lontananza, tamburi e reggae.
Sopra tutto questo, un cielo che di notte non è come da noi (quando ci va bene di vederlo, tra grattacieli e luce artificiale), una volta punteggiata: è piuttosto un lenzuolo nero e gonfio, di sacche e di stelle.

Il gioco è più o meno proseguito l’indomani, alla luce del giorno; una strana luce: al mattino presto (qui a causa del caldo e della giornata equatoriale ci si alza alle 6) c’è un’inaspettata nebbia, che via via si asciuga. Lo spettacolo delle palme che si levano da questa coltre lattiginosa è particolarmente suggestivo. Poi verso le nove il bagliore diventa accecante. Allora puoi vedere la brousse che chiude l’orizzonte e i tantissimi animali che bazzicano intorno alla nostra casa. Oltre ai più famigliari maiali, conigli e polli dell’allevamento alle nostre spalle, appena fuori del nostro cancello ci sono piccoli aironi bianchi e uccellini talmente minuscoli da poter star posati sui fili d’erba.
Qui, diversamente da fuori, è tutto pulito e ben tenuto.
Poi ci sono ramarri di ogni genere e specie: ci sono i marguilla, lucertoloni arancioni che sembra facciano le flessioni e poi spiccano dei saltini da un angolo all’altro del cortile; ci sono gechi di varie grandezze (da quelli mini-mini, 3 cm. al massimo, fino ai loro papà, più nerboruti, sui 15 cm., passando per tutte le misure intermedie); ci sono quelli gialli, quelli verdi, quelli grigi, quelli che sembrano avere la pelle trasparente e gli occhi molto pallati nerissimi. A vederli sono molto carini, ma la cosa fastidiosa è che penetrano in casa da non so dove e mi cagano dappertutto.
Infine gli insetti, tasto dolente per me: ne ho la fobia, ma qualcosa mi dice che mi ci abituerò in fretta… o mi verrà l’esaurimento. Cominciamo dalle formiche carnivore, quelle che sembrano essere la peggiore minaccia in questo luogo. In effetti la notte qui c’è sempre un guardiano notturno e, visto gli allarmismi di guide e siti sulla Costa d’Avorio (tipo: “Non andateci se proprio non ci siete costretti, perché rischiate il furto, la rapina, il rapimento, lo stupro, la violenza etnica e quella politica”), pensavo fossero per proteggerci dai malintenzionati. E mi stupiva che circolassero armati solo di una bombola sulle spalle modello “ghostbusters”. Infatti la bombola serve per sterminare le “magnà”; mai nome fu più adatto per queste fameliche formiche. La loro è un’organizzazione guerrigliera: quando la preda è addormentata, lentamente e silenziosamente le scivolano sopra fino a ricoprirla. Solo allora, quando è completamente cosparsa dalle piccole indigene, parte il segnale d’attacco e tutte insieme iniziano a divorare il malcapitato. In questo modo sono in grado di far fuori un maiale.
Anche di formiche se ne trovano di ogni misura. In casa per esempio abbiamo delle formichine minuscole, quasi invisibili, ma che mi fanno incazzare parecchio, perché in quanto minuscole riescono ad infiltrarsi in ogni armadietto, scatoletta, confezione di biscotti o pasta, per quanto ermeticamente chiusa. Al polo opposto della scala di misura ci sono altri formiconi maledettamente volanti, grossi come api regine.
Poi ci sono mostri non meglio identificati: si va dall’insetto foglia (affascinantissimo: sembra in tutto e per tutto una foglia, verde e lanceolata, con tanto di venature, ma se guardi bene vedi da sotto spuntare sottilissime zampette), ai cervi volanti (dei coleotteri grandi come la mano di mia figlia, neri, lucentissimi; scarafoni, forse scarabei, con lunghe antenne ramificate come appunto le corna di un ungulato; anche questi molto affascinanti finché non iniziano a volare… al che –di solito- io fuggo urlando in preda al panico). Per concludere la galleria degli orrori, infine, ci sono i serpenti: si va dal cobra al mamba verde. Quest'ultimo lo si può facilmente scambiare per un rametto acerbo, lungo e sottile; quindi è possibile calpestarlo con noncuranza sul sentiero e farlo imbufalire (motivo per cui è meglio andare a passeggio con robusti stivali di gomma, anche quando ci sono 40°). Ma gli impudenti non si limitano a strisciare per i sentieri erbosi, ti arrivano bensì sulla soglia di casa. Mi dicono... Per fortuna a me non è ancora capitato e nel caso non saprei che fare. Mi sono dunque subito informata sulle procedure da seguire in caso di morso. Scordatevi ovviamente ambulanze, 118 o antidoti: qui usano una pietra nera (è in dotazione nella cassetta del pronto soccorso) con cui si deve incidere la ferita e far defluire il sangue contaminato. Poi la si sfrega sul taglio. Ho evitato di chiedere se si devono anche pronunciare delle formule magiche, perché qui la stregoneria la prendono piuttosto sul serio, e ho concluso che in caso di avvistamento la cosa migliore da fare è urlare. Insomma, ce n’è abbastanza per poter passare una prima iniziazione al selvaggio west africano.

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