martedì 27 settembre 2011

Mary ha un fidanzato

Io mi ricordo che fin da piccolissima ero soggetta a grandi innamoramenti: mi ricordo Enrico Pagella, mio compagno dell’asilo; oppure di quell’altro che giocava ai giardinetti con me e che chiamavamo Marcellino Pane e Vino (chissà perché); o di Andrea il brasiliano, un ragazzo “della compagnia dei grandi” che passavo ore a rimirare sotto la tettoia della spiaggia su cui ho trascorso le prime 14 estati della mia vita; o Emanuele Ghisolfi, il mio primo fidanzato (ma ero già in terza elementare!).
Marysol, invece, finora non aveva dato segni di innamoramenti, se non di amici/amiche, peraltro preferibilmente adulti (vedi Lina e Yakou).
Io un po’ mi preoccupavo, temevo di essere stata troppo “open mind” quando le permettevo di celebrare nozze tra i suoi pupazzi senza distinzioni di sesso, razza e numero (maschi con maschi, coccinelle con tigrotti, matrimoni a tre, ecc.).
Poi, ieri, mentre la osservavo giocare con la banda di teppisti su cui ha preso il potere, ho notato che c’era un ragazzino un po’ più grande di lei, che le stava sempre appresso e, anziché riempirlo di botte, lei lo prendeva per manina e giocavano in disparte.
Alla sera, ovviamente, Leo ha chiesto spiegazioni (è un padre all’antica per certe cose), prendendola alla lontana:
“Ho visto che giocavi con un bambino più grande. È simpatico?”
“È il mio fidanzatino” ha risposto, lasciandolo un po’ spiazzato e attirando su di lei quattro paia d’occhi.
“Cioè: non lo so se lui mi ama come io lo amo… non so neanche se lo amo io” (interrogativo universale degli innamorati, che non muta mai con gli anni).
Io, Caio, Lina e la nonna abbiamo iniziato a tempestarla di domande:
“Come si chiama?”
“Junior”
“Quanti anni ha?”
“Dieci… otto… forse 18!” [tra gli otto e i dieci, ndr]
“Cos’è che ti piace di lui?”.
“Beh, che anche a lui piace giocare a ‘ce l’hai’, a ‘strega comanda colore’, a ‘un due tre stella’… gli piace perfino giocare con le bambole!” (insomma: hanno molti interessi in comune).
Leo si è trattenuto dal chiederle se è di buona famiglia, sapendo che è un deplacé, proveniente da una delle zone più martoriate del quartiere di Abobo; se prima della guerra i suoi avevano qualcosa, ora quasi sicuramente l’hanno perso.
Dopo l'interrogatorio, Mary non riusciva più a prendere sonno (avevamo forse caricato troppe attenzioni su questo argomento?).
Il giorno seguente ha giocato tutto il giorno con lui, scattando anche alcune delle foto che vedete: “Che tipo intraprendente” ha commentato Caio.
Io ho cominciato a farle “educazione sessuale”: siccome le ho sempre detto che i bacini sulla bocca sono per i fidanzati, ho iniziato a introdurre il concetto del “quando avrai l’età giusta per farlo: tra una decina d’anni” (ho cercato di abbondare per sicurezza!).
Lei mi ha risposto che vuole scoprire le cose prima, per essere pronta al momento giusto, ma poi l’ho persuasa che è come aprire i regali prima di Natale: rimani senza sorprese.
Poi lui è dovuto partire per Abidjan, dove resterà fino a mercoledì. Nell’attesa, lei gli sta preparando un bel disegno.
“Ti mancherà?” chiede qualcuno.
Lei ci pensa un po’; e poi:
“Naaah, sono solo tre giorni!”
Ha anche cercato di convincermi ad invitarlo a cena (ogni riferimento al film con Spencer Tracy è assolutamente casuale) e di fronte ai miei dinieghi ha ribattuto: “Ma allora non potremo mai avere un appuntamento!”
Il giorno dopo ancora, vedendo che evitava l’argomento, le ho chiesto se stavamo violando la sua privacy e lei mi ha risposto che “no, semplicemente non c’è molto da dire: è tutto ancora così all’inizio!” (che saggezza!!!!).
Speriamo solo che non si inneschi una tragedia, quando i nostri deplaces dovranno sloggiare (Leo sta cercando di fissare una data, non so se solo per esigenze della Communauté o se per scoraggiare questa love – story).
Mi ricordo di quando ha cominciato a camminare, o a parlare, o a fare a meno del ciuccio: è stato all’improvviso, da un giorno all’altro possedeva quel sapere.
Ieri ha aggiunto a quel sapere il corso base di innamoramento.
Oggi ha imparato a nuotare: si è tolta i braccioli e si è fatta tutto il lato lungo della piscina fino a dove non tocca nemmeno la mamma (poi ha vomitato nella vasca per lo sforzo).
In questi mesi ha perfino messo due denti nuovi!
Insomma, io sono ancora qua che mi commuovo quando trovo dei suoi calzini che ormai vanno bene a Dado e lei già mi lancia delle nuove, stimolanti sfide: ok, io ci sono, sono pronta a accettarle. E lei lo sa (“Oltre a essere la mamma più bella del mondo sei anche una grande amica” mi ha detto l’altra sera dopo una lunga chiacchierata… confesso che mi è scappata una lacrimuccia).

sabato 24 settembre 2011

Ho finito il mio romanzo!

Ho finito il mio romanzo! È successo l’altra notte: dopo essere andati a mangiare un poluet braisé, aver bevuto molta birra, essere ritornati a casa e aver fatto “seratona” con Caio, Lina e Yakou, mi sono ritirata “nei miei appartamenti” e ho cominciato a segnarmi alcune idee; di quelle che ti vengono solo prima di addormentarti e ti sembrano geniali, ma poi il mattino dopo non te le ricordi più.
Questa volta ho avuto la prontezza di impugnare carta e penna prima che la palpebra calasse definitivamente e ho cominciato ad appuntarmi una scena: in genere funziona che prima mi immagino la situazione come in un film e poi la racconto, la descrivo, riporto i dialoghi, ecc.
Spesso succede che, in questa fase, il racconto prenda una strada completamente diversa da come l’avevo precedentemente immaginato, come se vivesse di vita propria e io fossi solo il tramite per mettere nero su bianco una storia che già esiste in un qualche iperuranio.
Anche l’altra sera (21 settembre, data simbolica da un punto di vista astronomico e ormai diventata storica per me) è successo più o meno così: l’appunto è diventato un pezzo, che se ne portava dietro un altro e un altro ancora.
La mano andava, la trama prendeva corpo più in fretta di quanto io ci potessi mettere per costruirla ed è comparso perfino un finale!
Avevo riempito una trentina di pagine (rigorosamente scritte a penna!), quando mia suocera è comparsa in sala, facendomi presente che erano le sei del mattino.
Poco male, l’essenziale c’era: si tratta solo di riempire qualche buco qua e là, cosa che farò man mano che ribatterò il manoscritto.
Il che può voler dire che la storia muterà ancora… per il momento si parla di una ragazza che scopre che il compagno la tradisce e cerca allora consolazione nell’amica (io, ma sono solo una comparsa) che vive in Africa da due anni; qui salirà sul nostro train de vie, senza sapere bene dove sta andando e senza esserne troppo entusiasta; poi si chiarisce alcune idee sulla sua esistenza, avrà una torrida storia di sesso con un ivoriano, sarà coinvolta nelle vicende di questo Paese e… finale a sorpresa! Ho cercato di supplire alla banalità del plot con una costruzione alla Lost: time line parallele, flashback, flashforward e uno stile un po’ surreale.
Sono discretamente soddisfatta: non so se è un buon romanzo (probabilmente no), ma l’ho portato a compimento ed è già un risultato.
Nelle ultime settimane la scrittura era andata un po’ a rilento. Facevo fatica ad immaginarmi l’evoluzione della storia, quindi andavo avanti a piccoli pezzettini, che me ne facevano venire in mente altri; ma non sapevo dove questi mi avrebbero portato, temevo di non arrivare da nessuna parte e questo mi frenava.
Ora devo decidere che farne: 1) bruciarlo; 2) lasciarlo lì; 3) mandarlo a delle case editrici; 4) candidarlo a concorsi letterari; 5) stamparlo con “Il mio libro”; 6) pubblicarlo a puntate come romanzo d’appendice di questo blog.
Mi aspetto dei suggerimenti: lo so che c’è qualcuno che mi legge, quattro gatti, ok!, ma almeno da quelli esigo, pretendo, mi aspetto, vi supplico: postate dei commenti coi vostri suggerimenti… voglio vedere un sacco di messaggini qui sotto, vi prego!

lunedì 19 settembre 2011

Il mio amico Yakou

Yakou potrebbe essere il prototipo del giovane ivoriano.
Innanzitutto perché, come un terzo dei suoi connazionali, viene in realtà da un altro Paese (roba che a Bossi gli farebbe partire un altro embolo). Lui viene dal Gambia, altri vengono dal Burkina, dal Mali, dal Senegal, dal Benin.
Ora tutti hanno i documenti, grazie alla campagna di identificazione che era stata fatta in vista delle ultime elezioni. Già, perché l’anagrafe non è roba semplice da queste parti: si nasce per lo più in casa (perché l’ospedale costa), e in comune ci vai se c’è, se hai voglia, se l’impiegato non ti chiede soldi… è raro che uno risponda prontamente a domande tipo: “Quanti anni hai?” o “Quando è il tuo compleanno?”. Non lo sanno, l’hanno dimenticato, non gli interessa. Mi ricordo che pochi giorni dopo che ero arrivata qui la prima volta, avevo partecipato a una manifestazione sui diritti dei bambini e mi ero stupita che uno dei più “sbandierati” fosse: “Ho diritto a essere denunciato alla nascita”. Eppure è vero: senza, non sei nessuno, non puoi votare, non puoi andare a scuola (e fare i documenti dopo un certo periodo di tempo dalla nascita, qui non è più possibile).

Ora, finalmente i vari Yakou sono stati riconosciuti cittadini della Costa d’Avorio, dopo una vita che ci vivono. Appena hanno l’occasione, ti mostrano orgogliosi la loro piéce d’identité, anche quelli che non sanno leggerla. Anche quelli che, come il mio amico, hanno mentito sulla data di nascita (per esempio per fare la patente prima dei 18 anni… lui sulla carta è nato nel ’77, ma dice di avere 26 anni… ma lo dice da tre anni… insomma: non so la sua età).
Anche avere i documenti non è cosa così scontata, da quando qualcuno si è inventato l’idea di ivoirité (una roba che non esiste se si considera che anche i confini di questa nazione, tracciati dai colonialisti, non hanno niente a che vedere con l’identità culturale delle popolazioni che ci sono cascate dentro o ne sono state tagliate fuori).
I vari Yakou ora sono ivoriani a tutti gli effetti, hanno potuto votare. E Yakou, come molti altri giovani ivoriani di origine straniera, ha fatto campagna proprio per l’uomo a cui 10 anni fa era stato impedito di candidarsi perché di madre burkinabè (ecco cos’è l’ivoirité!). Lo hanno fatto anche quelli che 10 anni prima avevano sostenuto il rivale Gbagbo. Perché all’epoca Gbagbo comunque rappresentava l’alternativa al regime militare (poi ha confiscato il potere per un decennio).
Devo dire che gli ivoriani hanno dimostrato una certa maturità politica (per essere solo la quarta volta che gli capitava di votare): nessuno si aspettava che vincesse Ado, ma se la scelta era tra chi detiene il potere da dieci anni "sans rien faire" e un vecchio capo di stato troppo anziano anche solo per farsi campagna elettorale, rimaneva solo lui, il terzo. E anche quando al secondo turno Ado aveva bisogno dei voti di Bedié, nessuno pensava che i sostenitori di quest’ultimo sarebbero davvero andati alle urne per puntare su un campione diverso.

Poi, sì, ok: c’è stata una guerra civile, ma da queste parti è fisiologica; gli ivoriani l’hanno subita (come molti altri eventi, naturali e non, per loro inscritti nell’ordine delle cose). Magari qualcuno vi ha anche preso parte, ma nessuno l’ha scelta.

Come tanti altri giovani ivoriani, anche Yakou fa molti lavori e nessuno.
Ha una bancarella di artigianato, giù al Quartier France. Ma ha anche la patente (un raro patrimonio da queste parti) e ogni tanto fa lo chauffeur: privato, di taxi, di cinq-cent-quattre (le Peugeot 504 utilizzate per il trasporto interurbano, dei forni sgangherati in cui si sta pigiati con persone e animali).
Ogni tanto lavora per una francese. Questi ha una muta di cani giganteschi che Yakou odia. Per due motivi fondamentali: 1) la spesa per il loro mantenimento è superiore alla sua paga (credo che noi europei ai loro occhi appariamo come pazzi maniaci). 2) quando lui passa davanti alla loro villa nei periodi in cui il francese non c’è, questi gli corrono incontro per giocare con lui; ma quando il padrone torna, gli ringhiano appena varca il cancello: “Mi fanno fare brutta figura col patron!”.
Poi il francese sparisce per lunghi periodi e Yakou resta senza lavoro. Allora si occupa un po’ del suo "magasin"; o può capitare che lo chiamino per guidare un taxi ogni tanto. O un 504. Ne parla con entusiasmo, anche se dice di preferire il lavoro in bottega.
Finalmente, ascoltandolo, ho capito che cosa significhino i gesti che gli autisti fanno, il braccio perennemente fuori dal finestrino: se sembra che ti stiano mandando a quel paese, in realtà stanno segnalando che vanno verso Bonouà; quando credi che ti stiano salutando è perché stanno andando a Bassam; se il gesto voi lo tradurreste con “Vieni qui!”, vuol dire che stanno andando ad Abidjan (potete immaginare le figuracce che mi sono fatta prima di scoprirlo).
Dal momento che Caio vorrebbe anche lui fare l’autista di 504 (se si stufasse di fare il direttore educativo della Communauté), Yakou ci ha spiegato anche tutti i trucchi per cercare di portare a casa la giornata. Già: perché non è che se ti affidano quel lavoro poi ti pagano. Anzi, sei tu che devi pagare l’affitto del mezzo, la benzina e ovviamente il pizzo ai poliziotti; quindi, perché ti rimanga qualcosa a fine giornata, ti devi fare un mazzo tanto.
Innanzitutto, se parti dalle stazioni, c’è tutta una mafia che stabilisce quale macchina può caricare per prima i passeggeri. Così, Yakou preferisce caricare le persone sulla Route Internationale. Ora, sulla strada c’è sempre una lunga fila di 504 e quelli davanti non si lasciano superare a meno che tu non sia diretto da un’altra parte (per essere sicuri che non gli freghi i clienti). Allora Yakou mente, agitando a caso la sua manona fuori dal finestrino e quando incontra dei potenziali clienti non gli rimane che fare il gesto del “Tu Vas Où?” (in italiano sarebbe: “Ti svito le lampadine” -?!-).
Poi si deve partire prestissimo, andare il più veloce possibile per cercare di fare più volte il viaggio avanti e indietro, e non fermarsi mai (in effetti gli incidenti sono all’ordine del giorno). Dopo di che, ti va bene se arrivi a sera con 2.000 franchi in tasca (circa 3 euro).
Ma 2.000 franchi sono buoni per mangiarci qualche giorno.
Non c’è l’ansia qui di trovare un posto fisso, una paga che permetta di mettere da parte qualcosa per i momenti meno "fortunati". Sarà che comunque lavoro non ce n’è e quindi ci si accontenta di ciò che si trova.
Ma è anche che non c’è tanto l’abitudine a guardare nel futuro: oggi mangio, domani anche, dopodomani ci penserò.

È così che Yakou, durante la crisi, si è ritrovato senza più la sua stanzetta (che non poteva più pagare), a dormire nella corte con una ferita infetta e senza mangiare. Ma “on est une grande famille” e allora è stato ospite da noi per un po’, finché non si è rimesso.
A differenza di tanti giovani ivoriani, però, Yakou non chiede quasi mai. Au contraire cerca sempre di ricambiare i nostri inviti come può: lava i piatti, porta una birra o un regalino dalla sua bottega. E tutta la sua gentilezza. È veramente la persona più premurosa che abbia mai incontrato, ti sa circondare di attenzioni, senza mai farti sentire in imbarazzo o a disagio o “soffocata”. Gli viene proprio spontaneo, come la dolcezza che riversa su Marysol… “Ma princesse adorée” la chiama (lei ovviamente è innamorata cotta).
In più mi affascina il suo modo di guardare al mondo: lui, come Marysol, crede nella magia. E così tutto ciò che appare, appartiene a due piani di realtà: il famoso “commando invisibile” di Abobo (vd. Post “Nostoi”) per esempio, era costituito da uomini che avevano il potere di rendersi veramente invisibili, oltre che di schivare i proiettili. Quando ascoltano queste teorie, Caio e Lina reagiscono da europei, si irrigidiscono, sorridono e cercano di convincerlo che non è possibile.
A me invece vengono in mente certi romanzi della letteratura latinoamericana, così profondamente pervasi di magia, come se fosse la cosa più naturale del mondo. È semplicemente un modo diverso di guardare alle cose, come passare una serata a guardare le forme delle nuvole e ognuno ci vede quello che vuole.

Ma la cosa che apprezzo di più in Yakou è la sua capacità di tradurmi il suo mondo, non solo nel senso che mi traduce le canzoni di Tiken Jah dal Dioulà. Nel mio “viaggio antropologico”, sto toccando con mano quello che ho studiato sui libri circa l’etnocentrismo e la difficoltà di guardare alla realtà umana con occhio scevro da condizionamenti culturali, con l’obiettività e la neutralità della scienza.
Un esempio: se un uomo picchia la sua donna per strada mentre i passanti si fermano a guardare, a ridere, ma non intervengono (scena a cui ci è effettivamente capitato di assistere, prima che Caio –sempre nei panni mai abbastanza apprezzati del paladino della giustizia- si intromettesse), non è semplicemente che quello è uno stronzo ubriaco e quegli altri, altrettanti stronzi pure un po’ cacasotto. Dietro questa scena c’è: 1) tutta la questione di genere (vecchia storia del maschio che porta a casa i soldi e della femmina che ricambia facendogli da elettrodomestico anche ad uso sessuale e riproduttivo); 2) il ruolo della donna (qui non c’è stato un movimento femminista; per quanto possano essere toste le donne africane –e ce ne sono alcune veramente toste- non c’è una coscienza di sé tale da far dire: “No, lui non ha il diritto di farlo e io non ho il dovere di subire”; pare anzi che l’idea sia –talora- che se non ti pesta, se non è geloso, è perché non gliene frega niente di te); 3) i rapporti familiari (“Qui gli uomini, in casa non parlano –spiega Yakou- il padre per esempio l’unico rapporto che ha con i figli è quello di forza, non gioca con loro, perché gli deve insegnare ad essere forti”); 4) talvolta, i matrimoni combinati .

Alla fine il risultato non cambia: l’uomo che picchia una donna rimane uno stronzo; ma vedrei solo quello e non tutto il resto, senza la “traduzione” di Yakou.
Spesso, la sera, quando si ferma da noi, racconta questo suo mondo. In cui i ragazzi hanno come massima aspirazione di lavorare dal lunedì al venerdì, per sperperare tutto il denaro nel bere, sabato e domenica (e la sfida qui è riuscire a non diventare alcolizzato, quando sei così fortunato da avere un lavoro). In cui le ragazze per scegliere un fidanzato guardano quante bottiglie vuote ci sono sul tavolo del bar, perché se sono tante vuol dire che è “ricco”. In cui i giovani “nouci” (scugnizzi) crescono sulla strada, a branchi, senza un adulto che li segua, dovendo sempre cercare di dimostrare di essere più forti degli altri per sopravvivere; fino al giorno in cui qualcuno di loro non si dice: “Voler à quelqu’un c’est pas un petit travaille”, e cerca un’occupazione più o meno onesta (come è capitato a lui).
È per tutte queste ragioni che non mi chiedo più che fine abbia fatto il nostro motorino, che lui avrebbe dovuto vendere per noi (questo prima dello scoppio della crisi; dopo di che non abbiamo più visto né motorino, né soldi): intanto perché ormai so che qui è così, la gente si arrangia “come può” (è così e basta: inutile disquisire se sia comunque ingiustificabile o un’inevitabile conseguenza del contesto... Yakou, in fondo, in questo video-gioco che è la sua vita, è già arrivato al terzo livello: ha evitato la banda armata e l'alcolismo); ma soprattutto perché trovo che la sua amicizia valga più di due ruote.

Riassunto delle puntate precedenti

Ok, sì: ho di nuovo trascurato questo blog per troppo tempo. Ma (facendo un riassunto degli ultimi tre mesi e accampando le classiche scuse con cui rispondi in ritardo ad un amico): nelle ultime settimane di permanenza qui prima della pausa estiva ho dovuto montare 18 (diciotto!) video per la Communauté e (notiziona!) ho cominciato a scrivere un romanzo (non so ancora bene cosa ne farò: se lo terrò in un cassetto ad ammuffire, se lo manderò a Case Editrici e concorsi letterari o se lo pubblicherò a puntate come romanzo d’appendice di questo blog: per ora lo scrivo -è già un obiettivo ambizioso- e mi sta riuscendo e mi prende molto tempo e sono contenta).
Poi siamo rientrate in Italia per un mese e mezzo. E dall’Italia non ha senso scrivervi: vi vedo! Funziona sempre che, quando si arriva, si inizia il tour di parenti e amici e quando hai finito, devi ricominciare perché stai per ripartire. In mezzo, a questo giro, c’è stato anche: 1) un mezzo trasloco; 2) varie ed eventuali. Tra cui: a) ho aperto un canale Youtube (altra notiziona, eh!):

http://www.youtube.com/user/franypicci

Qui potete trovare (per ora e credo fino al prossimo rientro per Natale – perché se lì non ha senso scrivere, qui caricare video è praticamente impossibile, date le connessioni): il video del concerto di Tiken Jah e del giro in piroga sulla laguna.
Quest’ultimo è stato uno degli eventi più rimarchevoli del mese di luglio. Gli altri cercherò di farmeli venire in mente e poco a poco raccontarveli prossimamente. Per ora vi lascio solo uno dei “ritratti” (vedi post: “Storia di Abou”), che avevo in bozza da un po’.

P.S.: se qualcuno se lo chiedesse: la sfida a scopa tra Caio e Marysol è ferma sul 19 a ? (nel frattempo ce lo siamo dimenticati) per Caio; dall’ultimo nostro giorno di permanenza qui, prima delle “vacanze”. Ma si esita a riprenderla perché la piccola ha ripensamenti sulla posta in gioco (Dado).