martedì 30 novembre 2010

Cronaca di un Colpo di Stato

Puntualmente la Commissione Elettorale Indipendente si è smentita. E puntualmente, in attesa della pubblicazione dei dati, circolano i rumors più inquietanti.
Già dalla sera di domenica, il portavoce di Gbagbo denunciava brogli nelle regioni del Nord e chiedeva di invalidare il voto. Anche gli osservatori internazionali hanno segnalato irregolarità più o meno gravi (la delegazione europea ha dovuto allontanare alcuni dei suoi da alcuni seggi, “perché minacciati”), ma il rappresentante dell’Onu continua a dire che tutto si è svolto nel rispetto della democrazia e anche il vicepresidente della Commissione elettorale (il presidente non si sa che fine abbia fatto) ribadisce che tutto sta procedendo in modo trasparente.
Sta di fatto che finora sono stati diffusi solo i dati parziali relativi agli ivoriani all’estero, dai quali Ouattara risulta al 60% e Gbagbo al 40%. E si mormora che la vecchia volpe si stia muovendo per non mollare il potere: qualcuno dice che abbia già preso l’aeroporto; altri smentiscono ma avvertono che qui a Bassam sarebbero arrivati un centinaio di suoi miliziani. Intanto ieri la capitale è rimasta senza corrente tutto il giorno.
I risultati erano attesi per questa mattina. Poi, inspiegabilmente, la truppe della Tv ivoriana è stata invitata a sloggiare dall’edificio della Commissione Elettorale, al di fuori del quale si erano dispiegate le forze dell’ordine.
E mentre Gbagbo faceva ricorso alla Corte Costituzionale per i presunti brogli, Ouattara lo accusava di voler impedire alla CEI di annunciare i risultati.
Non c’è migliore conferma a queste accuse, delle immagini che sono appena passate su Tv5 Monde (sì, lo so Franco: è questa la vera notizia e avrei dovuto scriverla in testa, ma questo è il mio blog non uno dei tuoi pezzi!): scena – il portavoce della Cei si appresta a leggere i risultati, circondato da giornalisti, microfoni e telecamere, quando due membri della Commissione, appartenenti al partito di Gbagbo, gli piombano addosso e gli strappano i fogli, gridando: “Questi dati sono falsi!”
Nessuno dei presenti reagisce, il portavoce della Commissione si limita a ribattere che “sono dati ben consolidati” e si eclissa.
A quel punto ogni comunicazione ufficiale viene rimandata a domani alle 11.00.
(Seguono ovvi appelli alla calma da parte della Clinton e altri).
Ma la cosa più inquietante è che Tv5 riferisce anche che “in un’Abidjan quasi deserta le forze di polizia sono dislocate in punti strategici” (quali siano non ho capito), mentre le truppe lealiste (1.500 soldati) dislocate al Nord per vegliare sul processo elettorale, sono state richiamate nella capitale.

domenica 28 novembre 2010

Ballottaggio

Ecco ci siamo: oggi è il gran giorno.
Queste ultime settimane di campagna elettorale sono state caratterizzate da qualche episodio di violenza (totale: quattro morti e centinaia di feriti), da uno storico faccia-a-faccia televisivo tra i due candidati (storico anche perché primo evento di questo genere in Costa d’Avorio), e dall’introduzione del copri-fuoco da ieri fino a mercoledì.
Gli scontri si sono verificati per lo più ad Abidjan, tra giovani delle opposte fazioni. Tranne l’ultimo, che ha fa fatto il maggior numero di vittime (tre): la polizia ha sparato sulle persone che manifestavano contro il coprifuoco (e questo è stato il primo risultato del decreto presidenziale - che dovrebbe avere l’obiettivo di evitarli i disordini!).
Il faccia-a-faccia è stata la cosa più antitelevisiva che io abbia mai visto (ben due ore – iniziate con un minuto di silenzio proposto da Gbagbo in ricordo delle vittime della guerra -, in cui i candidati avevano dieci minuti ciascuno per rispondere a ogni domanda); ma altrettanto interessante: Gbagbo e Ouattara si sono confrontati con un garbo sconosciuto ai nostri politici; all’inizio, il presidente uscente ha accusato l’antagonista di essere “responsabile di tutte le calamità che si sono abbattute sul Paese negli ultimi 11 anni” (testualmente, giuro! Berlusconi almeno si limita ad accusare tutti di essere semplicemente comunisti o di essere il “partito delle tasse” – ma tanto purtroppo gli basta). Ouattara gli ha risposto che lui era primo ministro nel governo rovesciato da Guei, mentre l’altro faceva comunella col golpista.
A parte questo, i due hanno amabilmente discusso di istituzioni (per Gbagbo bisogna mantenere l’attuale impianto presidenziale, per Ado si dovrebbe procedere ad una riforma che divida i tre poteri, assicuri una vera libertà di stampa e renda più efficiente la giustizia); di debito (un macigno di 6.700 miliardi, accumulato nell’era Houphouetista del capitalismo di stato – e della corruzione tutt’ora vigente - che grava sul Paese); di economia e disoccupazione (il vero cancro della Costa d’Avorio). Su questi temi, l’economista Ouattara si può dire che giocasse in casa: ha promesso investimenti per 12.000 miliardi in cinque anni per costruire strade, scuole, ospedali; mentre l’altro ha negato che ci sia grossa crisi (Silvio docet anche in questo caso… probabilmente pensa che gli ivoriani non mangino per mantenere la linea) e ha suggerito di risolvere il problema della disoccupazione arruolando tutti nell’esercito (uno dei punti del suo programma è avere “une armée forte et pouissante, à la dimension de son économie”… ora, a parte la contraddizione in termini tra un’armata forte e un’economia che non lo è affatto, checcazzo te ne fai di un esercito forte? Vuoi forse invadere la Polonia?). Ouattara gli ha risposto che l’esercito deve essere “muto” sulle questioni politiche e che comunque sarebbe meglio prima di tutto mettere in sicurezza le strade del Paese (qui un certo problema col crimine c’è per davvero).
In generale, Gbagbo è un miglior comunicatore, più populista, mentre l’altro più preciso e pragmatico non ha lo stesso carisma (e di fatti ha convinto me, che sono ineluttabilmente destinata a stare dalla parte degli sfigati).
Ma la cosa più interessante è stata seguire il dibattito con Yakou. Yakou è un nostro amico di qua, un ragazzo semplice e con pochi mezzi, ma molto attivo politicamente, per quanto disilluso, e sostenitore di Ado.
Ha seguito il dibattito con grande attenzione, intercalando ogni qualvolta quelli sparavano cifre, dei: “Djo [uomo, amico]… les politiciens, quand ils parlent… djo..” e un’altra formula che credo di poter tradurre con: “Non li devi stare a sentire perché ti riempiono la testa di stronzate… djo!”
Alla fine del dibattito, i candidati si sono impegnati ad accettare l’esito delle urne e hanno invitato i propri sostenitori a fare altrettanto. Ma, in più, Gbagbo ha decretato il coprifuoco (così Yakou è rimasto da noi). Ouattara l’ha rigettato perché “l’intervento dell’esercito potrebbe drammatizzare le cose” (come si è ben visto subito il mattino successivo). I detrattori del volpone sostengono che l’abbia fatto per meglio truccare il voto, secondo me è semplicemente per creare un clima di tensione che favorisca lo status-quo (da noi mettevano le bombe, in Piazza Fontana e altrove).
Dal canto suo la Commissione elettorale ha annunciato che darà i risultati già a partire da questa sera, per evitare le tensioni del primo turno e impedire a uno dei due di proclamarsi vincitore anzitempo (ma la Cei si è già contraddetta molte volte, non ultima quando ha fissato il secondo turno al 28 novembre, poi al 21 e infine ancora al 28). Nel frattempo anche Compaoré (il grande mediatore) è tornato a dire due parole ai pretendenti alla poltrona presidenziale (cosa gli abbia detto non si sa, ma l’ascendenza che questo personaggio – peraltro assassino di Sankara, lo statista più avanzato del panorama politico africano – esercita sulla politica ivoriana mi fa venire in mente le “offerte che non si possono rifiutare” de “Il Padrino”).Noi ci siamo barricati in casa come l’altra volta e abbiamo aggirato il coprifuoco dando una festa danzante con i nostri nuovi ospiti di cui vi racconterò nel prossimo post.

giovedì 4 novembre 2010

SOS: è finita la nutella e Bédié ha chiesto il riconteggio

Rieccomi! Scusate il ritardo (dovuto al fatto che aspettavo che la situazione si chiarisse un po’ di più, dopo che Bédié, escluso dal ballottaggio, ha chiesto il riconteggio dei voti).
Intanto non credo di avervi tenuti col fiato sospeso. E lo capisco: anche io se fossi in Italia, seguirei le elezioni di mid-term in Usa e sarei combattuta tra lo stile con cui Obama ha incassato il colpo e il dispiacere di vedere il primo presidente americano simpatico, costretto alla coabitazione coi repubblicani.
Ma invece sono in Costa d’Avorio e allora vi posso solo raccontare di queste elezioni storiche che arrivano dopo dieci anni di crisi politica. Almeno è diverso da quello che vi raccontano gli altri.
Comunque: la domenica elettorale non ha visto particolari incidenti. Nei giorni successivi la tensione è montata un pochino, nell’attesa dei risultati. La Commissione elettorale indipendente (CEI, che poi non so quanto sia indipendente), dopo un primo momento in cui aveva ritenuto di poter comunicare i dati già lunedì, si è ricreduta e ha annunciato che avrebbe utilizzato tutto il tempo a sua disposizione (quindi fino a mercoledì sera).
Semplici difficoltà logistiche, legate al tipo di conteggio utilizzato (manuale ed elettronico insieme), secondo la Cei. Ma anche qualche timore secondo la nostra fonte all’interno del PDCI (partito di Bédié): alcuni dati non ufficiali che iniziavano a circolare davano infatti in testa Bédié, seguito da Ouattara, con dunque il presidente uscente Gbagbo escluso dal ballottaggio.
Addirittura si è iniziato a vociferare che il ritardo nella presentazione dei risultati era dovuto al fatto che personalità religiose e politiche tra cui perfino il presidente burkinabé Blaze Compaoré, il grande mediatore grazie al quale si è arrivati agli accordi di pace di Ouagadougou, si stavano recando da Gbagbo per convincerlo a cedere il potere pacificamente.
E mentre si moltiplicavano gli appelli della comunità internazionale ai candidati, ad accettare “il verdetto delle urne, qualunque esso fosse”, la Cei, forse per mettere a tacere voci “diffuse ad arte dalle segreterie di partito”, si è di nuovo contraddetta pubblicando anzi tempo dati parziali. Che hanno smentito completamente i rumors precedenti: infatti secondo le cifre ufficiali (ma relative solo al voto degli ivoriani all’estero) Gbagbo è in testa, seguito da Ouattara e sarebbe quindi Bédié ad essere escluso dal ballottaggio.
Nella giornata di ieri, mentre i dati venivano rilasciati col contagocce (cosa che ha fatto dire sarcasticamente a qualche commentatore che gli ivoriani hanno saputo il risultato della Danimarca prima di quello del loro Paese), si confermava questo scenario. Ma la nostra fonte interna al PDCI insisteva che vi erano divergenze tra i verbali inviati dai seggi in cui erano presenti suoi rappresentanti di lista e quelli letti dalla Cei.
Lì per lì pensavamo che semplicemente non si arrendesse all’evidenza della sconfitta, anche perché contemporaneamente l’Onu dichiarava che si erano registrate solo lievi irregolarità, ma tali da non invalidare il voto (altre fonti sostenevano che in alcuni seggi agli osservatori internazionali è stato proibito di entrare, ma in generale tutti hanno sottolineato come il processo elettorale si sia svolto correttamente).
Ieri sera però, mezz’ora prima che scadesse il tempo a disposizione della Cei per la comunicazione dei dati definitivi, Bédié ha chiesto il riconteggio delle schede. A quel punto c’è stato un po’ di suspence: che avrebbe fatto la Commissione? Avrebbe atteso ancora prima di dare le ultime cifre, per valutare il ricorso?
Per fortuna no: i dati ufficiali danno Gbagbo al 38% e Ouattara al 36%, Bédié al 23%. Ma le cifre ufficiali potrebbero non essere definitive: la Corte Suprema ha infatti 7 giorni per accogliere il ricorso dell’ex presidente. Una tempistica che non dovrebbe interferire con il secondo turno, previsto tra due settimane, a meno che da un eventuale riconteggio non emergessero risultati molto diversi da questi (nel qual caso non so cosa farebbero: riconterebbero una terza volta per essere sicuri di aver contato giusto almeno la seconda? Io quando non mi tornano i conti faccio così, ma dubito che valga anche per le elezioni).
Nel frattempo noi ce ne stiamo barricati nel Centre Abel, ammazzando il tempo cucinando e approfittando dunque delle oculate scorte che ci siamo accaparrati (vino cileno, formaggi francesi, salsine libanesi e nutella che ormai è finita). Non tanto perché ci sia tensione in giro, quanto piuttosto perché in giro non c’è proprio niente: molti esercizi sono chiusi, le scuole riapriranno soltanto lunedì, le strade sono deserte, nonostante il capo di Stato Maggiore ieri in Tv abbia rassicurato la popolazione che non ci sono pericoli e si può tornare alle normali occupazioni (ma per la maggior parte qui sono disoccupati, dunque…).
La gente ha risposto con entusiasmo a questo scrutinio storico, premiato con un record d’affluenza dell’80%, ma poi si è chiusa in casa perché è stanca e spaventata: il timore è ovviamente quello di nuovi scontri, anche se appunto a me sembrano tutti stufi di crisi, politica e economica, e non aspettano altro che un po’ di stabilità per ripartire. Ma bisognerà vedere le capacità di mobilitazione di questi signori.
Gbagbo, negli anni passati aveva a sua disposizione i Giovani Patrioti, bande di giovani teppisti (mi dicono che gli studenti qui non sono come altrove, la forza che si oppone al potere costituito, bensì manovalanza arruolabile con promesse di posizioni sociali migliori). Ora non so che fine abbiano fatto e se salterebbero di nuovo fuori nel caso il volpone perdesse al ballottaggio. Per fortuna pare un’ipotesi remota. Dico per fortuna non perché mi piaccia particolarmente Gbagbo, ma perché è quello che potrebbe fare più danni se perdesse. Chi ha votato Bédié al primo turno, difficilmente però al secondo voterà Ouattara, piuttosto che votare un non-ivoriano al 100%, non andrà a votare. E così Ado sarà sempre più il simbolo del riscatto degli immigrati musulmani e una promessa di cambiamento che non si potrà mai realizzare.