mercoledì 9 novembre 2011

Abissàààààààà

Con la banda al gran completo ci apprestiamo a festeggiare l’Abissa.
Ritrovo al magasin di Yakou che ci accoglie con magliette e braccialetti per l’occasione. Quindi si prende in braccio la piccola, stende su tutti gli altri la sua ala di angelo custode e ci porta alla scoperta del dedalo di viuzze del quartiere coloniale.
L’Abissa è la festa annuale del popolo N’zima: il momento in cui il re di Quartier France (il quartiere coloniale, appunto, nonché capitale del regno N’zima) esce per incontrare la sua gente, giunta da tutta la Costa d’Avorio (e confini vari). Questi gli faranno le loro rimostranze, una sorta di bilancio annuale del regno; la loro forma di democrazia. Stando, almeno, alla spiegazione di Jonas (uno dei nostri educatori che è nel comitato organizzatore della festa). Secondo altre fonti (vd http://www.abissafestivale.com/Abissa.htm, very interesting), è il momento in cui tutti confessano a tutti i propri peccati e chiedono assoluzione e benedizione.


In ogni caso, si tratta di una specie di carnevale (progenitore forse di quelli caraibici o di New Orleans): gli uomini si travestono da donna, altri si mascherano con pasta, attieké, pop corn, scatole di fiammiferi o di sigarette, perfino con orsacchiotti o macchinine a pedali in testa! Tutti (quindi anche noi) si dipingono il volto con l’argilla, bevono e ballano ovunque per le strade. E ogni tanto bisogna gridare: "Abissààààààà" e ridere.


Noi entriamo subito nello spirito della festa: Yakou ci porta in una corte dove degli amici suoi hanno improvvisato un bar abusivo ed estemporaneo per la ricorrenza. E lì ci spariamo la prima bottiglia di orangin (koutoukoù –cioè grappa di palma- e succo della passione), che ormai nel mio cuore ha preso il posto del Pastis.
Poi andiamo verso la piazza dell’Abissà, in tempo per vedere sfilare il re: una processione variopinta e semiseria, in cui le persone agghindate in modo eccentrico (anche per loro), si mescolano alla cheferie e agli altri notabili che accompagnano il re. Tutti i membri della corte reale indossano l’abito tradizionale (una sorta di tunica all’antico romano, di una stoffa a fantasia geometrica verde, rossa e oro) e portano uno scettro, probabilmente in polistirolo, dipinto anch’esso d’oro. La corona del sovrano è dello stesso materiale, ma di una pretenziosa forma a fortilizio con torrioni.
Dopo il suo passaggio, ci scateniamo in danze a suon di tam-tam e fischietto. Io mi sento abbastanza impedita, ad affondare nella sabbia nel tentativo di imitare le migliaia di sederi, di ogni sesso ed età, che mi tamburellano intorno, vibrando come fossero tanti budini staccati dal resto del corpo e perfettamente sintonizzati sui ritmi sincopati della musica. Mary, invece, che si è sparata una bottiglia di coca-cola (per lei l’equivalente del nostro orangin, e quindi era eccitatissima), era perfettamente a suo agio: una nanetta bianca con t-shirt formato vestito da sera, che si agita in mezzo alla folla… inutile dire che abbiamo attirato piacevolmente l’attenzione.
Verso le sette di sera, ci sediamo ad un maquis per prendere fiato, mangiare un polletto alla brace e osservare la via principale del quartiere trasformata in un’animata sagra di paese.
Nel frattempo, Leo Mary e Nucci sono venuti a casa a dormire e noi, con altri amici che intanto ci hanno raggiunti, torniamo nella corte dell’orangin a spararci un paio d’altre bottiglie. Anche lì c’è musica: Zouglou, una sorta d musica tradizionale africana su ritmi techno… veramente inascoltabile! Ma non c’è problema: basta dirlo a Yakou, lui parte, va a parlare col dj e torna sulle note di Tiken Jah.
Dopo aver dato il meglio di noi in quel posto, abbiamo pensato di deliziare con la nostra allegria anche un altro localino, dove abbiamo trovato Ka-Jim, un cantante in voga da queste parti. Fa la sua comparsata con un paio di pezzi, poi lascia il microfono a un signore con una caldissima voce blues. Anche lì si balla e si beve fino allo sfinimento, quindi si torna alla piazza dove sapevamo che Ka-Jim avrebbe cominciato un vero e proprio concerto. Arriviamo in tempo per riuscire a sistemarci in prima fila, procurarci dei bicchieri e cercare di convincere la star (mentre sta cantando sul palco, l’idea infelice è di Caio) a farci un autografo su una foto, formato A4, spuntata da non so dove, che ritrae un Yakou giovanissimo al suo fianco. Fortunatamente prima che arrivino i gorilla della sicurezza, si mette a piovere e ce ne andiamo: chi in un’altra discoteca, chi (come la sottoscritta) a dormire (ormai sono le 4 di mattina!).
Buona Abissa a tutti!

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