martedì 15 dicembre 2009

Capire l'Africa - Lezione I

Non ho certo la pretesa, dopo appena un mese e mezzo, di aver veramente “capito l’Africa”. Sia perché il continente è sterminato, sia perché anche da questo angolino in cui sono io, intravedo un mondo completamente “altro”, che forse mai riuscirò veramente a capire fino in fondo.
Ma mi permetto di fare alcune, prime considerazioni. Innanzitutto la passività delle persone che mi circondano: vivono in condizioni che “noi” non accetteremmo mai, hanno una classe politica di briganti e irresponsabili; ma nonostante ciò osannano i rappresentanti di questo potere inutile per non dire parassitario, in nome di un rispetto dell’autorità tipico di una società fortemente gerarchizzata.
La gerarchia qui è il nomos di qualunque rapporto: tra amici, c’è il petit che deve subire le regole che detta quello più anziano, in famiglia c’è il padre (quando c’è e comunque anche quando è gonfio di kutuku –il che pare sia abbastanza diffuso) o il parente più ricco (che deve ostentare il proprio ceto, deve –per esempio- essere grasso, per far vedere che ha la possibilità di mangiare quanto vuole ed è in salute); sul lavoro c’è il capo che può essere un imbecille (e generalmente più si sale nella scala, meno lavora), ma i suoi ordini non possono essere messi in discussione, soprattutto se è un bianco (odiati perché colonizzatori, ma trattati pur sempre e comunque con una deferenza imbarazzante –salvo poi inseguirli coi tizzoni ardenti, quando scoppia qualche tumulto).
Mi viene in mente a tal proposito un aneddoto raccontatomi da Rina, energica signora italiana trapiantatasi qua. C’era un cesto di mele e lei ha detto a due suoi braccianti: “Dividete in due e prendetevele”, e loro le hanno tagliate ognuna a metà e se le sono poi divise. Probabilmente c’è stato un problema di incomprensione linguistica, ma presumo che anche a loro sarà sembrata balzana l’idea di dover tagliare a metà le mele per potersele dividere… Allora perché non ne hanno semplicemente chiesto il motivo? Perché un ordine non si discute, si esegue.
Ad un Europeo verrebbe da dire che sono rimasti al Medioevo, con una mentalità da sudditi anziché da cittadini, dove non ci sono diritti ma concessioni del sovrano; che qui sono mancati l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Che, sì: noi al loro posto saremmo già insorti… A un italiano viene in mente Berlusconi. A cui si concede tutto: di farsi le ragazzine, di candidarle e nominarle ministro (roba da ancien regime), di plasmare l’opinione pubblica a suo piacimento grazie al suo strapotere mediatico, di essere un ladro e corruttore e di abusare della sua posizione per sottrarsi alla legge e per favorire le sue aziende, di avere rapporti con la mafia, di aver fatto parte di una loggia massonica eversiva (di cui sembra perseguire ancora gli obiettivi), di avere scarsa familiarità con le regole democratiche di base (che la Costituzione –per esempio- non è un intralcio ma una garanzia, che il potere legislativo spetta al Parlamento e non al Governo, che esiste una divisione tra l’esecutivo e il giudiziario, che il solo aver vinto le elezioni non permette di “comandare”, che il buon governo non demonizza il dissenso, che un Paese non è un’azienda –i cittadini non sono suoi dipendenti). Gli si concede tutto questo e anzi lo si ama, perché è simpatico, racconta barzellette sconce, dà le case ai terremotati (come se le avesse pagate di tasca sua, come se non fossero cose “dovute” – ma poi: i terremotati ce l’hanno veramente una casa? Mah!). Al massimo gli si tira una statuetta del Duomo sul naso!
Mi spiace essere finita a parlare dell’Italia, ma come si può vedere le distanze tra “noi” e “loro” non sono poi così ampie (qui ho almeno l’amara consolazione che non è il mio Paese e che viene detto del Terzo Mondo).
E come le distanze si possono ridurre, allo stesso modo le cose possono essere viste sotto diverse angolazioni e diventare pregi o difetti, a seconda. È proprio questa “passività” per esempio, che forse permette alla gente di qui di essere “serena” (o così a me sembra): una delle cose che più mi ha sconcertata in questi primi giorni è infatti che, per quanto abbiano fame, siano poveri o vivano nella cacca, sorridono. E questa è una bella cosa (quando appunto non diventa “oblomovismo”).
A dare un senso a questa mia osservazione mi è venuto in aiuto un libro che ho appena letto: “I coccodrilli di Yamoussoukro” di V.S.Naipaul (premio Nobel indiano per la letteratura). L’autore vi fa una distinzione tra “mondo di giorno” e “mondo di notte”, due piani della realtà che rendono gli africani apparentemente indifferenti: “Oggi va bene, domani magari no. Così è la vita, nel mondo di sopra; l’importante è che il mondo interiore sia integro”.
Al mondo notturno attengono la magia e i sacrifici, ancora molto presenti nella cultura del posto.

1 commento:

  1. Ma che splendide foto! Non sapevo che avevo anche un talento per l'obiettivo! Che macchina usi? Guarda che hai un futuro alla Reuters e non lo sai! Coraggio che sei una roccia!

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