sabato 30 ottobre 2010

VotaAntonioVotaAntonio!

Al diavolo l’ordine cronologico! Ho aperto questo blog a maggio e da allora cerco faticosamente di caricare tutto ciò che ho scritto dal primo giorno che sono arrivata qui. Ma la cosa va troppo a rilento (sia per le deboli connessioni della brousse, sia perché si tratta di decifrare appunti che ho scarabocchiato rigorosamente su fogli volanti, sia perché lo posso fare solo quando Marysol è a scuola – cioè tre ore al giorno - e quando non ho altre belinate tipo spesa, lavori di casa, aiutare Leo, ecc.).
E oggi è la vigilia di un avvenimento troppo importante per non decidere di seguirlo “in diretta”.

DOMANI IN COSTA D’AVORIO CI SARANNO LE ELEZIONI.

Si sa che in ogni Paese africano che si rispetti, le elezioni sono sempre un momento cruciale. A maggior ragione lo sono qui, dove le ultime si sono tenute 10 anni fa (e quindi hanno pensato bene che il giorno di Halloween fosse la data più adatta). Facciamo allora un piccolo passo indietro: la Costa d’Avorio ha avuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960. Da allora e per 33 anni, è stato presidente Félix Houphouet-Boigny (come avere Andreotti 7 volte Presidente del Consiglio), che ha governato con pugno di ferro (partito unico fino a metà degli anni ’80 e mass media sotto controllo), ma ha fatto del Paese la “Svizzera” dell’Africa (ricco, stabile, sviluppato, con buone infrastrutture, istruzione pubblica efficiente). Boigny ha anche trasformato il suo piccolo villaggio, Yamoussoukro, nella capitale, cingendolo di mura e facendolo diventare il suo Palazzo, e costruendo un’autostrada a quattro corsie illuminata, che porta verso una riproduzione a grandezza naturale sull’acqua della nostra Basilica di San Pietro, e verso null’altro. Morto lui, gli è succeduto Henry Konan-Bédié (che è ancora tra i candidati di queste elezioni – non è solo l’Italia ad avere una classe politica di mummie). Bédié viene rovesciato da un colpo di stato nel ’99 (al suo secondo mandato) da Robert Guéi.
Nel 2000 si tengono nuove elezioni: Guéi mette fuori gioco il suo principale avversario, Alasanne Ouattara, col pretesto dell’ivoirité (una fissa degli ivoriani che merita una piccola digressione: questo è un Paese ad alta immigrazione, proprio perché una volta era ricco e dal Burkina, dal Mali e da altri posti disperati, arrivavano i braccianti per le immense piantagioni di cacao, caffé, palma. Addirittura si dice che gli ivoriani “non abbiano voglia di far niente” – opinione di altri africani – perché non sono abituati a lavorare. Questi immigrati, poveracci e per lo più musulmani, sono concentrati soprattutto nel Nord del Paese e sono sempre stati trattati a pesci in faccia – vi ricorda qualcosa? -. Tanto che, appunto, se non si è ivoriani al 100%, non si può accedere alla carica di presidente. E Ouattara, pur essendo ex primo ministro ed ex funzionario del FMI – quindi una figura di respiro internazionale – ha la madre di origini burkinabè...).
Ma nonostante tutti i brogli di Guéi, nel 2000 vince il volpone Laurent Gbagbo (nome apparentemente impronunciabile, qui se la cavano con “Babò”). Dico “volpone” perché ha finora resistito ad innumerevoli tentativi di golpe e sollevazioni, è ancora presidente nonostante il suo mandato sia scaduto da cinque anni ed è nuovamente candidato in pole position per la rielezione. La prima rivolta si ha già nel 2002: porta alla morte di Guéi (non ho capito bene come) e all’occupazione del Nord da parte dei ribelli.
Il Paese rimane diviso in due e ciclicamente si registrano scontri, accordi di pace, nuovi scontri, arrivo di contingenti di pace (dell’Onu - con l’Onuci - e della Francia – che ha ancora stretti rapporti economici con l’ex colonia e numerosi espatriati – con l’operatione Lyocorn). L’apice della crisi si raggiunge nel 2004, quando Gbagbo bombarda le roccaforti dei ribelli beccando per sbaglio una base militare francese. Ma Jacques Chirac non sta certo a guardare i suoi soldati (nove) morire, e reagisce: le truppe francesi scatenano l’inferno per le strade di Abidjan (la capitale di fatto) e gli ivoriani in tutta risposta danno il via alla caccia ai bianchi (i nostri amici che erano qua già allora raccontano di essersela data a gambe – le proprie, perché l’ambasciata italiana si era dimenticata di evacuare Grand Bassam – verso il Ghana e sono tornati dopo sei mesi).
Per farla breve: l’ultimo accordo di pace (quello che sembra aver funzionato) è quello siglato a Ouagadougou nel 2007. Gbagbo è rimasto presidente di un governo di unità nazionale, con primo ministro Guillaieme Soro (capo dei ribelli del Nord). I ribelli si sarebbero dovuti disarmare, il governo avrebbe dovuto procedere ad aggiornare le liste elettorali e si sarebbero dovute fissare nuove elezioni, il tutto entro un mese e mezzo. Ovviamente da allora la data del voto è stata fissata ogni sei mesi e puntualmente rimandata.
L’ultima volta era stata fissata il 28 novembre 2009, poi, due giorni prima, si sono accorti che le liste non erano ancora aggiornate: in un Paese in cui l’anagrafe è un’entità estranea alla maggior parte della gente e in cui molti cittadini sono arrivati dall’estero parecchi anni fa, bisogna capire chi ha diritto al voto, stilare un elenco, pubblicarlo, dare il tempo agli esclusi di fare ricorso e alle istituzioni di esaminare tali ricorsi.
Il vecchio volpone Gbagbo, per guadagnare ancora un po’ di tempo ha poi pensato bene a febbraio di quest’anno di azzerare la Commissione elettorale che se ne stava occupando.
Ma alla fine ce l’hanno fatta e questa volta sembra proprio quella buona: i ribelli sono apparentemente disarmati, le lunghe code agli uffici pubblici dei giorni scorsi mostravano che finalmente dopo dieci anni venivano distribuite le carte d’identità (con scene alla napoletana in cui c’erano quelli che arrivavano prima a prendere il posto per venderlo a quelli dopo) e la campagna elettorale si è svolta pacificamente. Per inciso: queste sono le elezioni più care della storia, 66 dollari per elettore, contro i nostri 3.
I candidati sono 14 (tra cui una sola donna), ma i più quotati sono il volpone Gbagbo (che ha invaso Abidjan di manifesti elettorali e ha avuto a disposizione ingenti somme di denaro per pagare chiunque perché andasse in giro con i suoi distintivi), la mummia Bedié e Ouattara (che ormai è diventato una sigla – ADO, dalle sue iniziali – e ha fatto una campagna in stile Berlusconi – presidente operaio, padre di famiglia, medico, professore, con promesse velleitarie tipo un milione di posti di lavoro).
Il sistema è un doppio turno alla francese. Quindi adesso iniziano i pronostici: chi va al ballottaggio? Ma soprattutto cosa succederà dopo? Saranno tutti disposti ad accettare il risultato delle urne?
La maggior parte dei lavoratori della Communauté Abel si dice sicura che tutto andrà liscio. Gli altri italiani di Bassam si sono organizzati, chi prevedendo il rientro anticipato in patria, chi facendo un visto preventivo per il Ghana. Noi abbiamo fatto scorta di Nutella per essere sicuri di poter rimanere tappati in casa se si rendesse necessario.
L’ambasciata italiana, dopo aver fatto per la quarta volta in un anno un censimento degli italiani qui, nei giorni scorsi ha convocato una riunione in cui non ha detto niente (piani di fuga, numeri utili, boh?). E ieri ci ha bombardato di sms del tipo: “Potrebbero esserci manifestazioni di piazza”... Ma va? E quindi? Finalmente al quarto messaggio hanno anche diffuso un numero telefonico di emergenza.
Quello che vedo io è un Paese che una volta era ricco e in cui oggi i giovani non trovano uno straccio di lavoro. Un Paese che aveva strade e marciapiedi ormai sbriciolati. Che aveva scuole pubbliche dove ora ci sono 80 studenti per classe e in cui i professori vanno una volta ogni tanto, cosicché l’amica di Mary che ha 9 anni e fa la 4° elementare non sa scrivere “aurevoire” e il tasso di analfabetismo supera il 50%, soprattutto tra i giovani, anche tra quelli (pochi) che sono andati a scuola.
Ma vedo anche un Paese che ha voglia di rinascere, che aspetta solo un po’ di stabilità politica per ripartire. L’altra domenica siamo andati ad Assouendé, un piccolo villaggio in riva al mare. Una volta là c’era un ClubMed, uno stabilimento immenso e forse una volta bellissimo, ormai ridotto ad area dismessa fantasma. Lì vicino hanno appena finito di ricostruire un nuovo resort e pare che anche in quello vecchio siano cominciati i lavori di ristrutturazione. Me la voglio immaginare così la Costa d’Avorio di domani, un Paese incantevole e ricco di risorse, che si può offrire in tutta tranquillità ai turisti e agli investimenti stranieri. Come qui vicino a casa nostra dove c’è una zona franca che sarebbe dovuta diventare polo delle telecomunicazioni che da quattro anni aspetta che qualcuno si decida a costruirici.
Vi farò sapere nei prossimi post se così sarà.