sabato 7 maggio 2011

Nòstoi

Νòστοι: poemi epici dei ritorni, inteso come ritorno dal fronte dei veterani della guerra di Troia, di cui l’Odissea è il più celebre esempio.


Questa nozione risalente al ginnasio è rimasta impigliata in un mio neurone, sepolto sotto milioni di altri (bruciati), fino a riemergere prepotentemente in questo periodo.
Dunque il 21 gennaio Leo è tornato in Costa d’Avorio, mentre io sono rimasta a Milano a destreggiarmi tra un melanoma, la figlia abulica per la troppo prolungata assenza del papà e della scuola, un padre (il mio) in crisi finanziaria, una sorella un po’ esaurita e lo scaldabagno rotto (una delle costanti della mia vita).
E una ricerca su Via Padova per il Teatro Officina, che per realizzare uno spettacolo necessitava, oltre che della documentazione storica, anche di testimonianze di operai pugliesi degli anni '50 e di latinoamericani di oggi con storie estreme. Ho così scoperto un quartiere dalla storia affascinante, da sempre meta di immigrazione e forse per questo ricco di umanità (non solo nel senso di "ricco di vari tipi umani", ma di umano sentimento). Quindi andate assolutamente a vedere lo spettacolo il 31 maggio al Piccolo Teatro Studio!

http://www.teatroofficina.it/it/

I racconti che giungevano da Bassam, intanto, riportavano dell’assurda normalità con cui la gente di lì riesce a continuare a vivere nonostante il mondo intorno stia bruciando: strade affollate, le piccole attività commerciali che se riescono a resistere a quel sole possono farlo anche con la guerra, le domeniche in spiaggia, le serate a mangiare il poulet braisè in Rue Congo.
Così, appena ho saputo, con grande delusione della suocera, che il mio melanoma per ora non destava grandi preoccupazioni, mi sono affrettata a prenotare il volo di ritorno. Avevo trovato un’offerta davvero eccezionale..., pure troppo: infatti si faceva scalo a Tripoli, dove il giorno dopo che ho acquistato il biglietto, Gheddafi stava bombardando i manifestanti.
Nel frattempo le banche in Costa d’Avorio avevano chiuso: non c’erano più soldi in giro! Mi aspettavo una reazione tipo Argentina 2001, con assalti agli sportelli, la gente inferocita, etc. Invece: in quell’assurda normalità, la gente normalmente è povera e quindi non ha conti in banca, quindi le strade continuano ad essere affollate, le piccole attività commerciali non si sa come continuano a resistere, e comunque la domenica si va in spiaggia e quando si può si va a prendere un poulet braisè.

In quell’assurda normalità, è anche normale che Leo vada in missione in Burkina per prelevare i soldi dei salari, che in Burkina scoppi una rivolta e che Leo debba quindi rimandare il suo rientro in Costa d’Avorio e quindi anche in Italia (era il piano B). Ma soprattutto è assurdamente normale che l’ambasciata italiana, mentre lui è là, lo contatti per chiedergli di procurare dei soldi anche a loro (i potenti mezzi della politica estera del nostro Paese!).
Il piano C era che il 4 aprile lui tornasse in Italia (nuovo tentativo). Intanto, fallita l’ultima (finta) mediazione dei “4 deficienti” (così un nostro amico dell’Onu definiva i quattro capi di stato scelti dall’Unione Africana per risolvere la crisi ivoriana), ad Abidjan si era cominciato a sparare: sulle donne che marciavano chiedendo che Gbagbo se ne andasse, sul mercato (così tanto per), nel quartiere di Abobo, dove il “Commando invisibile” (pro-Ouattara) metteva a dura prova le milizie lealiste.


La storia di questo gruppo di guerriglieri è feroce, romantica, ricorda alcuni racconti partigiani e potrebbe essere la sceneggiatura di un film: il quartiere di Abobo (un milione d'abitanti più o meno) era schierato con Ouattara e per questo motivo sottoposto al più duro coprifuoco e alle più dure scorribande dei miliziani gbagboisti. Il capo tradizionale racconta di aver visto morire i suoi figli di 3 e 5 anni per mancanza di medicine; una suora racconta di aver passato nottate intere a estrarre pallottole dai feriti. Ma ad un certo punto un misterioso commando inizia ad organizzare agguati mordi e fuggi alle milizie per procurarsi le armi e passa poi ad una vera e propria resistenza, sostenuto dalla popolazione che all'arrivo dei miliziani dà l'allarme pestando sulle pentole. Dopo che per giorni i media si sono interrogati sull'identità e l'appartenenza dei suoi componenti, con un colpo di teatro il sergente "IB" si proclama loro capo attraverso un comunicato in cui lascia intendere di volersi proporre come "terzo incomodo" tra Ado e Gbagbo. "IB", alias Ibrahim Coulibaly (alias Denzel Washington nel nostro ipotetico film, è identico!), era capo delle forze ribelli del Nord nel 2002 insieme all'attuale primo ministro di Ouattara, Soro, cui era legato da antichi dissapori. Dopo aver combattuto strenuamente contro Gbagbo, IB si è rifiutato di deporre le armi quando le Forze Repubblicane hanno liberato il quartiere. Ed è stato ucciso.

Pochi giorni prima, nel resto del Paese era cominciata l’insurrezione: dal Nord, dall’Est e dall’Ovest, le forze repubblicane fedeli a Ouattara marciavano verso Abidjan (in alcuni casi seminando distruzione sul loro cammino). In quattro giorni avevano preso il controllo del Paese e ora erano in stallo intorno alla residenza di Gbagbo.
A Bassam non si andava più alla spiaggia e a mangiare il poulet braisè.
A Bassam c’erano centinaia di sfollati. C’era il nostro amico Yakou male in arnese e con una ferita infetta alla gamba. C’era la Communauté che cercava di occuparsi un po’ di tutti e che con l’aiuto delle autorità cercava di evitare l’insorgere di conflitti etnici. E di fatti a Bassam non c’erano scontri. Non c’era nemmeno l’Onu che chiedeva alla Communauté di andare loro in teatro di guerra a prendere gli aiuti umanitari.
E c’erano gli europei della città che si erano dati appuntamento al Wharf, il ristorante-piscina sul mare dove anche noi andavamo spesso, per discutere il da farsi. Quando uno dei camerieri del Wharf ha messo in giro la voce che “i bianchi” tramavano chissà che, questi si sono cagati sotto e hanno contattato la Licorn (il contingente francese), che li ha messi in lista per l’evacuazione.
Siccome i voli commerciali erano stati sospesi e anche il piano C era fallito, Leo suo malgrado, ha dovuto accettare di essere prelevato in elicottero (come mi rode essermi persa la scena dell’elicottero che atterra nel campo, con i soldati che sbarcano armati e si mettono in posizione e trovano allegre marmaglie di bambini che gli fanno ciao con la mano, mentre i bianconi salgono. Non ho mai fatto un viaggio in elicottero in vita mia!).
Dalla perfetta organizzazione della base francese, che in quel momento accoglieva 2000 persone e che con un volo militare mandava chi voleva partire negli aeroporti confinanti, i nostri (oltre a Leo, Lina e Caio), passavano alla spensierata “ospitalità” del nostro console a Lomè (Togo). Che vedendoli arrivare con l’idea di passare la notte in aeroporto per ripartire il giorno seguente, ha detto: “Noooooo, ci penso iooooooooo. Io ho gestito emergenze ben più gravi!”. Ha insistito, ha scelto lui un albergo e poi gliel’ha fatto pagare a loro (io sono convinta che fosse amico dell'albergatore e si sia fatto passare una stecca). Il nome del console era Marziano: un nome, una promessa (di venire da un altro pianeta!).

In ogni caso Leo è finalmente approdato nella sua Itaca, dove io ero alle prese con l'ordinaria amministrazione (che vuol dire comunque un'avventurosa lotta quotidiana anche se dal sapore meno esotico). Per esempio, avevo iniziato a fare la “scuolina” con Marysol (si passava la mattina a giocare che io ero la maestra e che lei doveva fare tanti piccoli lavoretti di taglia-incolla-colora, impara etc.): un modo per tenerla un po’ su, che ha funzionato.
E intanto pensavo. Pensavo che la cosa più pesante del trovarsi qui sola (a parte la suocera che deterrà sempre il primato nella classifica delle rotture di cazzo), non è tanto conciliare le esigenze di una figlia in crisi, con il lavoro e la mia sopravvivenza personale, quanto non avere nessuno (sano di mente) con cui condividere le mie angosce (sì, ok ci sono gli amici, a cui faccio una capa tanta, ma non è la stessa cosa di un marito). E io di angosce ne avevo tante. E allora sognavo.
Vedendo il nostro conto in banca assottigliarsi con una rapidità allarmante, i guai in cui si è cacciato mio padre e le condizioni della sua casa, vedendo un Paese (l’Italia) che economicamente e non solo va sempre più a rotoli, sognavo che tutto si risolveva e noi saremmo tornati a vivere in Costa d’Avorio per sempre (o quasi).

L’arresto di Gbagbo (grazie all’intervento francese chiesto dall’Onu) l'11aprile, è stato il primo passo verso la realizzazione del mio sogno (e di quello di molti altri ivoriani). Imperdibile l'espressione di smarrimento sul volto dell'uomo che si credeva scelto da Dio, mentre le Forze Repubblicane lo vestono, con tanto di elmetto e giubbotto antiproiettile per evitare che la folla lo linci:


http://videos.tf1.fr/jt-20h/les-images-de-l-arrestation-de-gbagbo-les-circonstances-se-precisent-6381745.html

Ora siamo qui all'areoporto di Parigi, dove abbiamo reincontrato Lina, diventata zia, e Caio, diventato single. Siamo pronti per ripartire. E, questa volta, restare!

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