sabato 14 maggio 2011

Aqwaba - Ben tornati

Potrei raccontare di come è stato dolce ritrovare questa luce, questo cielo che credevo di aver perduto per sempre.
O dell’impressione che mi ha fatto vedere case e strade ancor più distrutte di prima, i supermercati e le banche con ancora i segni dei saccheggi.
E nonostante tutto la voglia di ricominciare, la gente intenta a ricostruire i negozi devastati, i sorrisi sui volti delle persone. Anche dei nostri 200 nuovi vicini di casa (dei deplacès di Abobo e Yopougon, che hanno perso tutto -casa, lavoro, forse anche dei familiari-, e che da tre mesi venivano rimbalzati da una parte all’altra, fino ad arrivare ad accamparsi nel nostro Centre).

Ma la poesia finisce qui.
Appena arrivati: Caio ha perso la valigia; io mi sono accorta di aver dimenticato il cavo del computer in Italia (porco il mondo, ho un pessimo rapporto con la tecnologia, soprattutto coi cavi); uno dei nostri deplacé è morto (tra l’altro nel modo più stupido per chi è scampato a chissà quali orrori e poi, giocando a calcio si appende alla traversa della porta per dondolarsi e se la tira addosso... era poco più di un ragazzo, il medico responsabile del loro gruppo ha detto che non era niente di grave. Ma si sbagliava.); e un fulmine si è abbattuto sopra casa nostra (un botto che sembrava una bomba, il contatore di Caio e Lina è esploso, le nostre lampadine sono schizzate fuori dai lampadari e l’impianto di tutto il Centre si è bruciato... siamo rimasti senza corrente per quasi una settimana. Quando poi è ritornata non è tornata ovunque, così –per esempio- stiamo ospitando in casa nostra le incubatrici dei pulcini –ancora nelle uova- e al mattino ci svegliamo coi nuovi nati in salotto... Mary è in sollucchero!).

Intanto ci arrivano i racconti di quello che è stata la guerra nel resto del Paese (a Bassam, a parte i saccheggi in banche e super, non è successo niente): una delle cuoche della Communauté ha perso 25 (venticinque) membri della sua famiglia in un giorno solo. Erano di Man una città nel Nord, i miliziani lungo la strada bruciavano tutto ciò che incontravano (sia quelli di Gbagbo in rotta, sia quelli di Ouattara che li inseguivano). È successo anche nell'Ovest a Duekoué, ed è successo anche ad Abidjan, a Yopougon (l'ultimo quartiere ad essere messo in sicurezza... più o meno, ancora si sparacchia), dove hanno trovato delle fosse comuni. L’Onu parla di 3000 morti nel conflitto, ma forse è un bilancio ottimistico.

E il tran tran quotidiano ricomincia.
Marysol è felicissima di aver ritrovato gli amici, ricominciato la scuola, la piscina, le lezioni di piano. Le hanno dato la pagella del 1° trimestre, è piena di A e B, tranne una C... in religione!
Leo è strapreso dal lavoro e sono un po' gelosa dell'affiatamento con Lina e Caio, da cui mi sento un po' esclusa perché loro oltre a condividere tanti importani impegni, hanno condiviso anche i tre mesi difficili della crisi. Ma penso che recupererò in fretta il mio posto in mezzo a loro. E comunque sono felicissima anch'io di essere di nuovo qui.
Mi sono fatta un programma per le prossime settimane: entro questa dovrei riuscire a riprendere il controllo della casa che dopo 5 mesi d'assenza era invasa dai vermi come un pezzo di carne andata a male (e non è una metafora).
Poi entro la prossima settimana voglio risolvere il problema del pc e procurarmi l'attrezzatura per ridipingere le camere, ho idee fantastiche in proposito.
Ho idee fantastiche anche di modelli di vestiti da fare con le stoffe di qua, quindi inizierò a fare un corso di taglio e cucito. Intanto la mia linea di moda la potrei iniziare facendo stampare sulle magliette dei proverbi africani. Per esempio ce n'è uno che dice: "Per quanto ingrassino le chiappe, non potranno mai soffocare il buco del culo". Voi la comprereste una maglietta così?

Tra le altre cose, mi riprometto di fare a breve un focus anche sulla situazione dei deplacés (sono un milione in tutto il Paese). Per il momento mi limito ad accennarvi alcune storielle amene come quella tubercolotico (che poi si è scoperto che non era affatto tubercolotico –perché l’abbiamo portato noi dal dottore, cosa che invece non ha fatto l’Ong che li segue), costretto a vivere isolato sotto l'apatam (un gazebo); o quella della ragazza traumatizzata dalla guerra (posseduta dagli spiriti dicono qui) e che non può più occuparsi dei suoi tre figli, che vengono curati a turno dagli altri deplaces.
L’Unhcr ci voleva anche rifilare altri 300 rifugiati (questa volta liberiani, fuggiti in Costa d'Avorio dalla guerra nel loro Paese poco prima che gli Ivoriani fuggissero in Liberia dalla guerra qui). Ora: vivendo io nel mondo di Biancaneve e dei sette nani, pensavo che una delle ragioni dell’esistenza di certe agenzie Onu, fosse quella di gestire le emergenze e che in casi come questi arrivassero completamente attrezzati di tende, w.c. chimici, cucine da campo e camion di alimenti.
Non è così: innanzitutto spesso si appoggiano a Ong locali, così succede per esempio che, benché il Pam (Programma Alimentare Mondiale) garantisca 3 pasti al giorno, ai nostri deplacés arrivi solo un po’ di riso ogni tanto (e di fatti i nostri allevamenti sono decimati dai furti). Sono maligna a pensare che nella catena di distribuzione, qualcosa finisca sul mercato nero, visto che l’approvvigionamento dei generi di prima necessità è ancora difficoltoso? Storie da anni ‘40.
In secondo luogo, queste istituzioni sono spesso intasate di burocrazia, per cui nei momenti di crisi fanno riunioni di giornate intere per decidere come gestire l’emergenza, se appoggiarsi a piccole Ong locali o grandi ma di fuori, etc., e così mentre quelli discutono su come gestire l’emergenza, l’emergenza non la gestisce nessuno per settimane. Anche chi presenta progetti deve sempre impazzire per fare carrettate di preventivi (che poi voglio dire: nei villaggi sperduti non è che trovi così tanti idraulici che ti fanno preventivi per le lattrine!). Poi se il progetto non ha alcun impatto sull’esistente, non importa: basta che la rendicontazione rispetti i parametri.
Nel nostro caso, quelli che ci volevano rifilare i 300 liberiani non avevano mai sentito parlare di w.c. chimici e pretendevano che cagassero tutti e 500 (includendo i 200 sfollati che già abbiamo) nei bagni pensati per una cinquantina di persone (quelli dell’ex internato del Centre).
Noi oltretutto quel giorno, oltre a essere senza corrente a causa del fulmine, eravamo anche senz’acqua. Così, riusciti a scampare all’invasione di rifugiati, ci siamo rifugiati a nostra volta ad Assouendé (un villaggio sul mare, poco distanti da qui) per un week end di sesso, droga (Pastis) e rock&roll (o meglio: reggae).

Nessun commento:

Posta un commento