mercoledì 18 novembre 2009

Prime impressioni

Vivere qui non sembra più difficile che a Milano (almeno per noi bianchi). Ci sono difficoltà diverse: lì si lotta contro il traffico, qui contro gli insetti; lì si cerca di sbarcare il lunario in qualche modo, qui bisogna capire cosa si può cucinare con le cose sconosciute che trovo, cercando tra le mosche, al mercato (che per me, abituata a surgelati e microonde, non è cosa da poco).
Rispetto alla giungla d’asfalto inoltre, ci sono dei vantaggi: le persone sono sempre molto gentili e appena si ha un po’ di tempo libero si può fare una scappata al mare. E che mare! Oceano: basta stare sulla riva a prendere le onde e sembra di essere all’Acquapark! La spiaggia poi sembra non finire mai (ed effettivamente è una lunga lingua di sabbia dorata contornata di palme, che si estende ininterrottamente dalla Liberia, attraversa da Ovest a Est tutta la Costa d’Avorio e continua fin oltre il Ghana). Il mio sogno è un giorno percorrerla tutta in dune buggy.
Il rovescio della medaglia come sempre c’è e banalmente è la sporcizia. Un secolo di colonizzazione francese non è bastato a costruire delle fogne o ad allestire un sistema di raccolta dei rifiuti… Eppure penso che fosse un problema anche allora! Ma questi espatriati transalpini non ne sentivano il bisogno?! Mah!
In compenso i cinquant’anni di decolonizzazione che sono seguiti, sono bastati per lasciare andare in rovina quel po’ di infrastrutture costruite: qui è tutto scassato, strade scassate, case scassate, macchine scassate.
Cosicché il paesaggio che ci si presenta in questo angolino di Africa è il seguente: strada polverosa modello gruviera, costeggiata da rogge a cielo aperto che durante le piogge debordano e allagano le vie; al di là delle rogge, file di baracche tenute insieme da brandelli di plastica, un po’ case un po’ negozi che vendono di tutto (soprattutto cose fatte in casa, come stuzzichini al tetano e così via). Dietro le baracche, si aprono campi ricoperti di immondizia (sia perché non sanno dove altro metterla, sia perché pare che serva a rendere meno cedevole il terreno – su cui poi coltivano la frutta e la verdura che compro al mercato di cui sopra).
Mi rendo conto che così l’ho presentata malissimo, ma in realtà l’insieme ha un suo fascino. Sarà per la vitalità e l’umanità di questi posti e di questa gente: seppur poveri in canna mantengono sempre un’attenzione nell’accostare i colori (bellissimi e sgargianti) dei loro pochi vestiti e un’eleganza nell’acconciarsi e nell’incedere. Forse grazie anche ai loro fisici longilinei, quando vedi sfilare queste donne che portano sulla testa enormi cesti di frutta esotica, hanno la stessa disinvoltura con cui una lady inglese sfoggia un orribile cappello a un concorso di equitazione. A vederle mi vengono in mente certe illustrazioni di Manara o Pratt. E poi sorridono sempre. Forse ho ancora lo sguardo velato dal romanticismo della scoperta, ma mi sembrano felici così: magari affamati, ma contenti di essere vivi, di non essere ancora morti per una qualche malattia da noi scomparsa da decenni. Un po’ fatalisti anche e quindi pare che dicano “se è così che deve andare…” perché sbattersi per creare sviluppo. E di fatti non ci provano neanche: qui gli unici con spirito imprenditoriale sono i libanesi (che probabilmente hanno almeno l’idea di cosa significhi la parola sviluppo). Come ci siano finiti i libanesi qui non lo so, ma se vedi una bella casa o un ristorante pulito, sicuramente è loro.
Per quanto sorridenti e gentili, ancora non capisco una parola di quello che dicono (mi consola il fatto che anche i francesi facciano fatica). Così ho iniziato a prendere un po’ di lezioni: una vera tortura cinese! La casa della mia maitresse (non fatevi strane idee: vuol dire maestra!) è senza ventilatore (il lato positivo è che se non imparo il francese, almeno dimagrisco), buia, e nemmeno lei è particolarmente brillante: non riesco a farle capire che è inutile che lei mi ricopi alla lavagna e mi faccia a sua volta ricopiare sul quaderno tutto ciò che lei ha scritto sul suo libro, soprattutto se si tratta della spiegazione di cosa è una frase negativa e che cosa sono il soggetto o il futuro, il passato, il presente (e non si tratta di filosofia). Più utile sarebbe che lei mi dicesse le desinenza dei verbi al futuro ecc., magari in modo ragionato e non mnemonico. Insomma di questa noia mortale me ne sparo due ore e mezzo, quattro volte a settimana! Mentre la bimba va a scuola… Lei è una grande: non si fa problemi di sorta, sta in mezzo a sconosciuti incomprensibili e gioca con loro, forte della comunicazione non verbale che impera tra i bambini e dell’incredibile attrattiva che esercitano sui suoi compagni dei capelli lisci e biondi.
Io invece devo ancora trovare un po’ la mia collocazione: non so ancora bene da che parte girarmi in questo formicaio impazzito. L’immagine è quella giusta: un incessante sciamare di uomini e cose e animali, capre che attraversano le strade senza guardare (ma comunque più disciplinate dei pedoni), tassisti che guidano come capre (su delle “auto-miracolo” che non capisci come facciano ad andare conciate come sono), uomini che tirano carretti con sopra dei taxi, le eleganti signore che sfilano coi cesti in testa, bambini che corrono dietro a un pallone, vecchiette che abbrustoliscono banane sulla strada. E in mezzo a tutto questo: io, che devo inventarmi un lavoro.

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