venerdì 20 novembre 2009

Da grande non farò l’imbianchino

Il Centre Abel è una tenuta di 20 ettari di terreno appena fuori Grand Bassam. Ci si arriva dopo aver percorso una sterrata di un paio di chilometri. Oltrepassato il cancello, a sinistra si trova l’auberge (per chi volesse fare turismo responsabile!) e un campo da calcio. Qui viene in ritiro anche l’equipe de footbal del Bassam, che –dicono- da quando ha preso questa buona abitudine, ha recuperato nell’agguerritissimo campionato ivoriano, strappando la salvezza.
Sulla destra, invece, c’è la direzione. Scrutando tra le palme, poi, si intravedono, in senso antiorario, il dormitorio dei giovani accolti nel Centro (ragazzi di strada, orfani o con alle spalle situazioni familiari tremende, che qui trovano una casa, una scuola, un avviamento al lavoro, una speranza); il refettorio e le cucine; la falegnameria; gli allevamenti (di polli, conigli, maiali e formiche carnivore) e dietro di questi, campi a perdita d’occhio.
A chiudere il cerchio, proprio sotto un mango gigantesco, c’è la nostra casetta: è una palazzina di un piano, fatta a ferro di cavallo e divisa in due appartamenti. Da una parte abitano Gino (il “mentore” di Leone) con la sua compagna ivoriana, Pina e Lina (le altre due referenti italiane del progetto). Dall’altra ci siamo noi.
La casa è grande, un po’ spartana e soprattutto avrebbe bisogno di una “rappezzata”. Così, un giorno in cui ho concluso che non sopportavo più il color bianco (sporco) delle pareti, ho deciso che lavoro inventarmi: “Farò l’imbianchina”.
Procuratami l’attrezzatura ho affrontato l’impresa seppur priva di ogni esperienza: al massimo qualche acquerello alle scuole medie. “Se ho capito la Scienza della Logica di Hegel – mi sono detta – saprò dare anche del colore su un muro”.
Spalmare con un rullo una sostanza della consistenza del vinavil (pure un po’ stantio), su una superficie rugosa, in verità non è così semplice. Dopo sei ore avevo perso quattro chili (meglio delle lezioni di francese!) e dipinto un metro quadrato.
Dovevo pensare a un “piano B”. Le ipotesi che mi si affacciavano alla mente erano due: o lanciare direttamente il secchio di vernice sul muro e spalmarla poi con un coltello da burro come fosse una tartina, o diluire la tinta con un po’ di acqua. Ho optato per la seconda.
Intanto dovevo anche badare a Marysol, che per aiutarmi stava pennellando tutto ciò che le capitava a tiro, dalle salamandre che ci girano per casa al gatto dei vicini.
Un’altra difficoltà che mi sono trovata ad affrontare è la quantità e la tonalità del colore: terminato il primo secchio di miscela a metà di una parete, ne ho preparata dell’altra. Impossibile ripetere sempre perfettamente la stessa alchimia. Così, volendo avere una cucina arancione, mi trovo ad averne una cangiante dal pesca, al salmone, al confetto. Al fragola (avevo finito il giallo). Non contenta, ho deciso di dipingere anche gli armadietti: giallo zafferano (col salmone sono la morte sua). Alla fine, in un raptus di follia ho dipinto anche le piastrelle e il frigo.
L’effetto è un po’ “pop” ma non mi dispiace affatto. L’unico problema è che ora dovrò rifare tutti i pavimenti della casa: so che l’essenza è l’essere in sé, ma non ho pensato a mettere dei giornali per terra per non macchiare dappertutto… ora cammino su una tavolozza da pittore. Per non parlare di mia figlia: ha delle mesh giallo zafferano molto punk che non verranno mai più via.
Il che mi ha fatto concludere che da grande non farò l’imbianchino.

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